1999
Se ne va
in silenzio
dopo tutte le sue cantate
se ne va
mano nella mia mano
se ne va
a cantare nello stesso coro
del poeta di Genova
corso ad avvertire tutti
che presto anche lui
sarebbe arrivato.
Preparate il palco
date fiato agli ottoni
trovategli un posto in ultima fila
perché è lì che lo si vede
è da lì che il basso della sua voce
inonda di vibrazioni
non cercatelo
non trovatelo
si nasconde
come la luce
dietro l’eclissi solare.
Amore e morte
Eros e Thanatos
una nuova svolta
abbandono e rinvenimento
una nuova vita
demolizione e ricostruzione
una nuova casa
ti amo e ti odio
rovina e fonte
continueremo la folle battaglia
che ci tiene uniti
mi manchi e ci sei
sollievo e disperazione
mentre all’ombra dell’ultimo sole
si era assopito il cantatore.
29 XI 1999
Chiuso dentro di te
avvolto
cullato
egoista
affamato del tuo amore
delle tue attenzioni
libero e felice
di consumarmi in te
solo
e di librarci noi
uniti insieme
io, tu e il nostro amore.
INFINE STEO!
My new life
1999
BABBO
È strano
improvvisamente accorgersi
che ancora ci sei.
1999
FRUTTO DEL MIO PASSATO
Tu che tremi
leggendo il mio passato
tu che temi
credendo non sia andato
prendi i miei ricordi
spremili
strapazzali
macina gli avanzi
e ti accorgerai
che in ogni parola
in ogni nota
in ogni riga
resta
e resterà per sempre
solo ciò che tu vedi
me.
1999
PATRIZIA
Leggo
e rileggo
i miei ricordi
e mi accorgo
solo adesso
che ciò che cercavo
adesso
c’è.
1999
77
Avevo due gambe
sempre presenti
una al contrario
l’altra il suo calvario
avevo due gambe
e non lo sapevo
mi hanno
portato dove volevo
avevo due gambe
e non mi ero accorto
che avevan ragione
ed io avevo torto
avevo due gambe
ci sono ancora
su loro ci conto
adesso
come all’ora.
1999
AMANDO
Abbiamo amato
facce e momenti
e sono dentro di noi
abbiamo amato
cose e parole
e non siamo stanchi.
Come angeli testardi
continuiamo
ancora
ad amare
infine
e per sempre.
AGOSTO 1999
10/12/1999
SCHICCOLINA
C’era una volta, tanto tanto tempo fa in un paese lontano lontano, una bellissima fanciulla di nome Schiccolina. La graziosa bambina viveva sola con il non più giovane padre, poiché la sua dolce mamma Aurora l’aveva oramai lasciata da tempo, volando in cielo con gli angeli. Con il passare degli anni il padre Fulmine solo, disperato e incapace di aver cura della piccola, si era risposato con una donna di nome Zamarra, anch’essa vedova, rivelatasi poi avida, prepotente e cattiva, la quale aveva portato con se le sei figlie Aranilda, Barbagianna, Carnalacchia, Dirigolda, Ermenilla e Florestana.
Le due famiglie, forzatamente riunite, vivevano nella grande casa di Fulmine ma, con l’andar del tempo, le vere padrone erano divenute la cattiva matrigna e le sei perfide sorelle. Tanto era stato il loro sopravvento che il pover’uomo, pentitosi amaramente della sventurata decisione di riprender moglie, si era dapprima isolato nella buia soffitta e poi, invecchiando e non riuscendo più a sopportare le angherie delle figliastre, si era rifugiato in una piccola casetta nel bosco più remoto delle sue proprietà, dove, già da tempo, si recava di buon mattino a pregare per la defunta moglie Aurora e ad invocare il di lei perdono per aver abboccato alle lusinghe della megera Zamarra e per le cattiverie che Schiccolina era costretta a sopportare ogni giorno dalle sei cornacchie.
Più e più volte Schiccolina ed il padre tentarono invano di ricongiungersi ma, dopo mille e mille angherie e soprusi, per impedirlo, la cattiveria delle sorellastre arrivò al punto di far credere alla piccina che anche il padre fosse morto, caduto in un crepaccio in un mattino di tempesta, mentre si recava al paese dalla casetta nel bosco. Schiccolina disperata, triste e sconfortata si sottomise così agli ordini della perfida Zamarra ed alle assurde frenesie delle sei bisbetiche sorelle. Fu in questo modo che, da padrona che era, si ritrovò ad essere serva, sballottata e maltrattata.
Ogni giorno Schiccolina si recava in paese per le compere; verdure, polli, cacciagione e quanto le poteva servire per preparare i pasti della numerosa famiglia di Zamarra. Visto che si era dovuta improvvisare anche cuoca, aveva cercato nella sua umiltà e nella sua melanconia, di trovare i lati migliori nelle cose che faceva ed il mercato era divenuto per lei il suo unico luogo di letizia. Qui aveva potuto far amicizia con servitori, contadini e con i bottegai del posto, i quali nutrivano per lei il più alto rispetto e con lei soffrivano per la scomparsa prima della madre Aurora e poi dello sventurato padre Fulmine, il tempo dicevano avrebbe sanato ogni tristezza. Il tempo era passato anche per Schiccolina e con il tempo era cambiata assai nell’aspetto e nella grazia, la bambina così amata da Aurora e Fulmine era diventata una bellissima donna in età da marito e in paese si mormorava che, solo con un buon partito, sarebbe riuscita a togliersi dalle grinfie della matrigna Zamarra e che, con l’aspetto e la gentilezza d’animo che Schiccolina aveva, un bravo e coraggioso giovane l’avrebbe sicuramente incontrato. Ma in fondo queste altro non erano che le speranze della gente del paese, la quale avrebbe voluto in qualche modo potersi liberare della perfidia e della cattiveria di Zamarra. In realtà, nessun giovane sarebbe stato così coraggioso da sfidare Zamarra e la magia che si credeva celata tra le sue mani e in quelle delle figlie, temute e riverite da tutti e a cui nessuno, per timore della loro vendetta, avrebbe fatto un torto, forse neppure il Re in persona.
Il Re Garlando, dal canto suo, aveva ben altri crucci a cui pensare, ormai vecchio, lento nell’agire e stanco di governare, non vedeva l’ora che il suo unico figlio Romualdo si decidesse a prender moglie. Il suo intento era di lasciargli il trono ed il paese, da amministrare con la saggezza e la bontà con cui la famiglia reale si era sempre contraddistinta e godersi la vecchiaia nei giardini di corte con il maggior numero possibile di nipotini. Fu così che il Re cominciò a dare ricevimenti ad ogni ora del giorno e della notte ed il disinteressato Principe era costretto a far conoscenza con ogni donna del reame e di quelli vicini, non riuscendo però a decidersi. Era un rutilare di vestiti luciccanti, di chiffon e di organza, di sete, broccati e damaschi e poi acconciature arricciate, lisciate, incrociate, trecce, crocchie e tutto un batter di ciglia a tempo di musica nel frastuono delle feste a palazzo, mentre il povero Romualdo, stanco e affranto si negava ad ognuna di esse e si giustificava con il vecchio padre dicendogli quel che spesso soleva ripetere di ambasciatori e dignitari stranieri, non riusciva a vedere l’animo negli occhi di quelle donne, così interessate alla corona più che a lui ed il Re, ansioso di ritirarsi e di godersi una nuova famiglia, era proprio disperato ed escogitava ogni volta un nuovo modo per presentare la dama di turno al figlio Romualdo. Dapprima Principesse, nobildonne, alta borghesia, donne dei ceti abbienti, poi sempre più a calare nel rango e nella disponibilità, finché il Re decise che tutte le donne del regno potevano recarsi a corte a sollecitare l’interesse del principe, anche quelle non nobili, anche le contadine e le serve purché il suo amato figlio potesse trovare gli occhi che stava cercando. Fu così, che anche Zamarra, Aranilda, Barbagianna, Carnalacchia, Dirigolda, Ermenilla e Florestana, nella speranza di essere scelte e diventare regine, decisero di presentarsi al giudizio del Principe, anche Schiccolina.
Quando Zamarra venne a sapere dalle figlie che anche Schiccolina aveva intenzione di presentarsi al cospetto del principe, la sua ira verso l’odiata ragazza si centuplicò. Consapevole della brutezza della sua numerosa prole e altresì della grazia e della bellezza di Schiccolina, per impedire che il Principe si invaghisse di lei e per far sì che la prescelta fosse una delle sue figlie, si vide costretta a metter mano alla sua magia ed a rivelarsi a tutti per la strega che in realtà era. Fu così che messi insieme gli ingredienti adatti in una mistura putrida e maleodorante, preparò in fretta e furia due pozioni una avrebbe reso le sue figlie belle, aggraziate nei movimenti ed ipnotiche, sì che, chi le avesse guardate negli occhi ne sarebbe rimasto irrimediabilmente innamorato, l’altra pozione avrebbe concentrato a tal punto la bellezza di Schiccolina da rimpicciolire la fanciulla fino quasi a non poterla vedere più e di lei sarebbe rimasta una minuscola bambolina incapace di poter nuocere alla strega Zamarra e alle mire delle sorellastre. Come ben sappiamo però la fretta non è certo compagna delle cose ben fatte e la foglia di Barbaresco nano e quella di Triceropo gigante in fondo in fondo si assomigliano molto, le due pozioni poi erano così vicine l’una a l’altra ed invertire la dose di foglie fu più semplice che soffiare una piuma e fu un errore di cui al momento nessuno avrebbe potuto giudicarne la vera gravità o la grande utilità. Quando le pozioni furono infine pronte, la strega Zamarra le travasò in due appositi recipienti, quella ipnotica in un ampolla nera come la pece e quella concentrante in una bianca come l’innocenza, riunì poi Schiccolina e le figlie nel salone di ricevimento della casa e con il suo malefico soffio vaporizzò il contenuto di quella nera sulle sei sorelle e di quella bianca sulla povera Schiccolina. Aranilda, Barbagianna, Carnalacchia, Dirigolda, Ermenilla e Florestana si trasformarono in un batter d’occhio in sei meravigliose e aggraziatissime fanciulle e tutte si accalcarono davanti al grande specchio del salone e facevano a spintoni, schaffi e botte per potersi vedere, ammirare e rimirare; ebbene sì la pozione aveva funzionato ed anche se non aveva instillato in loro le buone maniere, le aveva trasformate in sei leggiadre fanciulle. Schiccolina si ritrovò invece improvvisamente a rimpicciolire, vedeva le cose intorno a lei diventare sempre più grandi e resasi conto del maleficio che le era stato fatto fuggì nel bosco, correndo per quanto le piccolissime gambette le permettevano, a cercar rifugio nella casetta che era stata l’ultima dimora di suo padre Fulmine.
A palazzo la situazione era disperata, il principe Romualdo ormai stanco della situazione e sfiduciato di poter mai trovare una fanciulla che gli intenerisse il cuore e che si lasciasse leggere negli occhi, affranto nello spirito e distrutto nel corpo, si era rifugiato nella torre maestra del castello, lontano e al sicuro dalla folla e certamente non voleva più sentir parlare di feste, ricevimenti, donzelle e soprattutto di matrimonio. Il Re Garlando era precipitato in uno stato di immensa tristezza, aveva visto svanire i suoi propositi di ritirarsi a godere delle gioie di essere un nonno Re e in più si sentiva in colpa per la disperazione arrecata al figlio, che aveva costretto a sottoporsi all’estenuante e invana ricerca di una moglie. Il misero Re vagava per le stanze del palazzo chiedendo aiuto a destra e a manca, fermava tutti i cortigiani, i servitori, i nobili o chiunque altro passasse vicino a lui, per chiedere un consiglio, un rimedio, una soluzione alla tristezza sua e del figlio Romualdo. Il Principe, solo nella buia stanza in cima alla torre, ripensava ad ogni ragazza, ad ogni sguardo e si sentiva lui in colpa verso il padre per non essere riuscito a trovare moglie tra le tante donzelle conosciute e allora rivedeva ogni momento degli ultimi giorni, ogni volto, rileggeva dentro agli occhi di ognuna di esse ma continuava a non trovare quell’immensa profondità d’animo in cui lui desiderava annegare. In questo modo cominciarono a passare i giorni e le settimane, con il Re a chiedere aiuto, ed il Principe a perdersi nei ripensamenti. Davanti al palazzo reale si era formata una lunghissima coda, gente da tutto il reame era venuta per concedere al re il proprio aiuto per risolvere il guaio, convincere il Principe ad uscire dalla torre e trovargli una moglie, con tutti i mezzi possibili. Si presentarono tipi assai strani, ciarlatani, quasi maghi, buffoni, gente eccentrica e tutti trovarono ascolto presso il Re e tutti fallirono poi dinanzi al Principe, non riuscirono pozioni, sortilegi e artefici vari, il tristo Romualdo non si mosse dalla torre maestra. Nel frattempo a palazzo era giunta la perfida Zamarra con le sue rinnovate figliole e appena il Re le vide in fondo alla fila gli si illuminarono gli occhi, certo tra quelle sei meravigliose dame sicuramente c’era quella che avrebbe fatto innamorare suo figlio e che lo avrebbe liberato dalla prigionia in cui si era costretto. Rivolgendosi al fidato ciambellano gli chiese come poter far passare avanti a tutti quelle sei meraviglie giunte da chissà dove, il povero consigliere avrebbe voluto risolvere la questione ma già al momento si rischiavano tumulti con tutta quella gente a palazzo e una ordinata fila di guardie accompagnava su ogni lato la lunga coda che portava alla porticina della cella del Principe, se si fosse fatto al popolo uno sgarbo del genere si sarebbe rischiata addirittura la rivoluzione. Fu così che anche Zamarra, volente o nolente dovette rimanere in fila come tutti gli altri.
Schiccolina intanto era giunta alla casa nel bosco e quando fu dinanzi al portone ebbe un pò di timore prima di entrare, sia per i mille ricordi di melanconia che le si sarebbero aggiunti alla tristezza che già recava con se, sia perché c’era davvero da aver paura, la finestra della casetta era illuminata, qualcuno la abitava, ci si poteva fidare? Erano briganti o soltanto poveretti? Dopo un attimo di traballamento, la minuscola fanciulla decise infine di affrontare quell’ultima prova ed entrare, rischiando ciò che c’era da rischiare. Meraviglia delle meraviglie, appena messo piede nella casa vide seduto davanti al camino il vecchio padre Fulmine, il quale la riconobbe immediatamente, nonostante non fosse più alta dell’unghia del suo mignolo. Lacrime, abbracci, baci e pianti si sprecarono in quel momento di estrema commozione e felicità e dopo le emozioni incominciarono anche le parole; il vecchio Fulmine era stato costretto dalla moglie strega a fingersi morto e restare rinchiuso nella casetta nel bosco, lontano da tutti ed in special modo da Schiccolina, se non lo avesse fatto i sortilegi della strega si sarebbero rivolti sulla fanciulla facendo si che ella andasse a raggiungere la buona madre, nel cielo degli angeli. Fulmine non aveva trovato modo di opporsi alla malvagità di Zamarra e di certo l’età e gli acciacchi non gli avevano permesso di sfidare la magia nera della megera. La gioia di Schiccolina era tale da sormontare qualunque rimpianto del passato, quel che contava era che loro si erano alfine ritrovati e potevano adesso condurre insieme la loro vita di fuggiaschi. Schiccolina raccontò al padre le vicende del reame, mostrando anche la sua preoccupazione per ciò che sarebbe potuto accadere se una delle sei bertucce fosse davvero divenuta Regina. Fu a quel punto che il padre, deciso a riscattare i suoi errori e la sua codardia, le chiese di fare qualcosa insieme, per salvare le loro esistenze, il principe e l’intero reame dal potere della vecchia strega e delle sei orribili figlie e così, dopo un breve conciliabolo, decisero di precipitarsi anche loro a palazzo.
Giunti al castello si ritrovarono in fondo ad una lunghissima coda, piena di gente strana e poco affidabile, che dette loro l’idea di quale fosse la gravità della situazione, bisognava fare qualcosa al più presto. Approfittando della sua minuscola statura Schiccolina si infilò tra i piedi della folla e corse forte fortissimo verso la prigione del principe. Davanti alla porticina della cella, c’erano alcune buffe persone che, con strani armeggii, stavano cercando di far capire al Principe l’opportunità che egli uscisse una buona volta e che si decidesse a convolare a nozze. Rapida rapida, Schiccolina si destreggiò fra quella selva di gambe e infilandosi sotto la porta riuscì ad oltrepassare l’ultima barriera che la separava dal Principe. Entrò in una stanza buia e umida, il Principe le voltava le spalle ma d’un tratto, come se avesse avvertito la sua presenza si girò per cercarla e lei ne rimase immediatamente incantata, arrivando a pensare che, se mai la avesse chiesta in moglie, lo sarebbe diventata immediatamente, anche se il Principe sicuramente non si sarebbe nemmeno accorto di un guscio di noce come lei. Romualdo la vide e la lasciò salire sul palmo della sua mano, ammirandone il coraggio per esser riuscita, così piccola, a salire fino in cima alla torre per parlare con lui. Schiccolina riversò sul giovane Principe tutto il suo amore per la vita, gli raccontò le sue vicissitudini, le malefiche sorellastre, la strega ed il padre Fulmine ritrovato e lui la ascoltava meravigliato e preso dalla gentilezza di quel piccolo cuore. Osservandola sempre da più vicino, riuscì infine a guardarla nei piccolissimi occhi e a sentirsi avvolgere dall’animo di lei e navigare nella sua profondità. Finalmente l’amore era sbocciato, adesso si dovevano risolvere i guai.
Tra la folla intanto si era sparsa la voce che qualcuno era entrato nella cella del Principe ma la porta era rimasta chiusa, forse un folletto, forse una magia, chi mai poteva aver fatto ciò, chi poteva esser entrato senza farsi vedere e senza aprire alcuna porta. La perfida Zamarra lo sapeva, capì all’istante che altri non poteva essere stato se non Schiccolina e rivolgendosi alle figlie ordinò loro di lasciar perdere la fila ancora davanti a loro e di correre fino alla porta della torre, nel frattempo lei si sarebbe arrampicata fuori dalla torre ed entrata dalla finestra avrebbe ucciso la malcapitata Schiccolina e spalancato la porta della cella, dando loro la possibilità di entrare e di costringere il Principe ad innamorarsi. Le sei sorelle si precipitarono verso la torre maestra e la strega Zamarra si innalzo quasi volando e cominciò a scalare le ruvide pietre del castello.
La chiave della cella era andata perduta ed il Principe non sapeva come poter alfine uscir fuori dalla prigione in cui si era rinchiuso ma l’acume di Schiccolina e le sue dimensioni, fecero sì che la brillante idea passatale per la testa si potesse realizzare. Tenendosi stretta alla punta del dito del principe, lo fece avvicinare alla porta sì da poter entrare dentro alla serratura. Appena si trovò in all’interno di quel luogo rugginoso e angusto anche per lei così piccina, cominciò a premere sui meccanismi, con tutte le sue forze, spingendo e spingendo nel tentativo di aprire la porta, le sue mani scivolavano sul robusto cilindro, si graffiavano e poi ancora ritornavano a premere sul perno di ottone e le braccia spingevano e le gambe forzavano mentre il suo piccolo cuoricino batteva batteva e minuscole lacrime bagnavano i suoi occhi ormai pieni dell’amore del giovane principe. Finalmente la serratura cedette la porta si aprì e da quel momento nessuno seppe poi più raccontare cosa successe prima e cosa successe dopo, perché tutto sembrò succedere insieme, nello stesso momento.
Nella stanza dinanzi alla cella si erano misteriosamente ritrovati il Re Garlando, il vecchio Fulmine, Aranilda, Barbagianna, Carnalacchia, Dirigolda, Ermenilla e Florestana, Schiccolina era uscita dalla serratura ed era ancora sul palmo del gioioso Principe Romualdo, la strega Zamarra arrampicatasi fino in cima alla torre era giunta alla finestra della prigione e stava per lanciare il suo maleficio, quando d’un tratto un fulmine, preannunciando l’arrivo di un temporale si andò a schiantare proprio sul tetto della torre maestra. Zamarra, colpita in pieno, si incendiò ed in un battibaleno si ridusse in cenere e venne soffiata via dal vento. La foglia di Barbaresco nano e quella di Triceropo gigante ebbero finalmente il loro effetto negativo sulle pozioni preparate, lo scambio non aveva influito sulla riuscita degli intrugli, ma aveva dato loro un termine e quel termine era infine arrivato. Le sei sorelle si ritrovarono in una nuvola di fumo che, diradatosi, le rivelò per le brutte e sgraziate che erano e per la vergogna scapparono via lontano e ancora oggi si dice stiano correndo per reami e terre lontanissime. La bellissima Schiccolina, contornata da un alone rosa ed azzurro ritrovò la sua forma di donna, con il fascino e la grazia da sempre avute e potè così finalmente abbracciare il Principe Romualdo ed anche il padre Fulmine ed il Re Garlando, prossimi nonni di bellissimi nipotini Reali.
La festa a corte ebbe subito inizio ed il matrimonio tra Romualdo e Schiccolina fu celebrato tra canti, balli e attrazioni di ogni genere che durarono per giorni e mesi, fino alla nascita dell’erede per il trono del regno e così ricominciarono daccapo. Ogni volta poi che le feste si stavano acquietando un nuovo nipote per Garlando e Fulmine veniva al mondo per allietare i due nonni, il reame intero e per la gioia infinita del Re Romualdo e della Regina Schiccolina, custodi unici per un reame felice, meravigliosi genitori di una prole senza fine e innamorati per sempre.
LIETO FINE
III
MILLENNIO
avvolto
cullato
egoista
affamato del tuo amore
delle tue attenzioni
libero e felice
di consumarmi in te
solo
e di librarci noi
uniti insieme
io, tu e il nostro amore.
1999
Caro Babbo Natale
non ho capito
se ho capito male
se il mio regalo
che mi è capitato
era in ritardo
o anticipato
sei mesi dopo l’ultima rima
o se i sei mesi son stati prima
non un balocco né un torrone
né un golf di cachemire color marrone
non una moto né una sterlizia
ma tutto a un tratto è arrivata Patrizia.
1999
Salvami
dai mari impetuosi
che trascinano rozzi relitti
e inanimati corpi
che poi lasciano abbandonati
sulle rive
sulle spiagge deserte
infilati come frecce puntate nel cielo
salva me
dai turbinanti venti
vorticosi
che raccolgono
fame e sudore
che risucchiano
pane ed amore
scaraventandoli lontano
dove nessuno può soffrire
dove nessuno può gioire
dona a noi la pace
dona a noi la pace
facci sentire i nostri dolori
lasciandoci urlare
lasciandoci resistere
mentre il mare ci porta via
mentre il vento ci strappa le vesti
facci godere dei nostri amori
salvati e riconquistati
ritrovati uniti scampati
dona a noi la pace
dona a noi la pace
Non ci chiudere le porte in faccia
non lasciare che ci sbraniamo da soli
siamo poveri e indifesi
cattivi orrendi
miserabili e serpenti
non ci togliere la luce
non lasciarci accecare dall’odio
siamo solo dei bambini
incapaci di guardare lontano
incapaci di dare una mano
di aiutare senza chiedere in cambio
di volare cullare donare
e vivere un sogno
dona a noi la pace
dona a noi la pace
facci sentire i nostri dolori
lasciandoci urlare
lasciandoci resistere
mentre il mare ci porta via
mentre il vento ci strappa le vesti
facci godere dei nostri amori
salvati e riconquistati
ritrovati uniti scampati
dona a noi la pace
dona a noi la pace
Salvami
salva me
e soprattutto salva
tutto il resto del mondo
gli animali le foglie
i piccoli cuori
i bambini i vecchi
i cattivi
le brutturie e gli orrori.
Dona a noi la pace
dona a noi la pace
facci sentire i nostri dolori
lasciandoci urlare
lasciandoci resistere
mentre il mare ci porta via
mentre il vento ci strappa le vesti
facci godere dei nostri amori
salvati e riconquistati
ritrovati uniti scampati
dona a noi la pace
dona a noi la pace.
1999
Caro Babbo Natale
vorrei mio padre indietro
e so che non lo puoi fare
caro Babbo
porta allora indietro il tempo
sì che una volta ancora
io ti possa riabbracciare
prima di festeggiare.
1999
Se le mie mani
avessero scolpito
avrei dato alla roccia
la forma del mio dolore
se avessero dipinto
avrei steso
su di una tela
l’aurora più fresca
se avessero fregiato il legno
l’avrei cesellato
con le sembianze
della mia passione
se avessi avuto voce
in toni da tenore
avrei cantato
le romanze più calde
se avessi avuto genio
mille cose nuove
avrei inventato
scoperto o fatto
e se avessi avuto cuore
avrei scritto per te
solo parole d’amore.
31/12/1999