Nonostante fosse
estate, quel giorno sarebbe stato certamente ricordato come il più
piovoso di tutta la stagione. La giovenca arrancava insicura sulle
quattro zampe che, sotto il peso dell'avanzata gravidanza, affondavano
nella terra zuppa d’acqua. Ormai intorno era solo un enorme pantano in
cui affondare fino al ventre, gonfio della maternità che stava
finalmente per dare i suoi frutti. Vicino a sé la mandria. Alcune
compagne portavano come lei quel pesante ma dolce fardello, altre
avevano già parTorito e allattavano i loro vitellini che, tra una
succhiata e l'altra giocavano a saltare e a nascondersi, un po' timorosi
ma a volte anche beffardi, tra le zampe delle pazienti madri. Riparati
tra le rosee mammelle, a proteggersi dalla pioggia e da quel freddo
improvviso portato dai neri nuvoloni provenienti dal nord, soffiati da
un improvviso e inaspettato vento gelido che spazzava la Meseta
dall’atlantico fino alla Sierra Morena.
Carmen, questo era il nome della povera mucca che, insicura sulle
proprie zampe, cercava di avvicinarsi a quell’unico rachitico albero
all’interno del recinto per trovarvi un minimo di riparo, un appoggio
per la sua stanca schiena e un po' di solida terra che le alleviasse la
fatica del trascinarsi faticosamente in mezzo a quell’acquitrino.
Lontano Felipe de Leon, compagno della sfinita Carmen e futuro padre,
osservava la scena da dietro quella fastidiosa staccionata divisoria,
messa per isolare i Tori dalle mucche. Trepidante per l’attesa e così
nervoso che se anche avesse saputo cosa fare non sarebbe riuscito a
combinare un bel niente, trotterellava su e giù, sgraziatamente come
solo lui poteva fare. Con quella zampa un po' più corta, inerme vittima
di un rocambolesco e sfortunato incidente che gli aveva impedito di
intraprendere la carriera a lungo agognata, allora e per tutta la vita,
quella di Toro Bravo, Toro da Arena, Toro da Corrida. Ricordava con una
punta di melanconia, sognava, sperava e trotterellava senza guardare
davanti a se travolgendo tutto e tutti, lo sguardo fisso verso la sua
cara compagna oltre quella seccante cancellata. D'altronde era la sua
prima paternità e questo lo scusava di ogni follia che avesse potuto
commettere e naturalmente di ogni sciocco pensiero. Come tutti i padri
avrebbe infatti accolto con amore la nascita di una deliziosa, muggente e
rosea mucchina, ma come va sempre a finire in questi casi, in fondo al
suo cuore sognava la nascita di un forte, nero e potente Torello. Un
valoroso capace di portare a termine le gesta che lui non era riuscito a
compiere. Sognava un Torello che avrebbe danzato nell'Arena come lui
non era riuscito a fare, dove lui a causa di quell'amata zampa balorda,
non era stato destinato ad arrivare.
Per fortuna c’erano le altre mucche a dare una zampa alla povera
Carmen. Più il momento della nascita si avvicinava più tutto si faceva
sempre più faticoso e difficile. Anche per Carmen era la prima volta e
ad ogni contrazione credeva di non riuscire a farcela. Invece resisteva
fino alla successiva crudele sfiancante contrazione, in un crescendo di
cui Carmen non riusciva a vedere la fine. Juanito, l’allevatore, si
sarebbe fatto vedere solo a cose fatte, come sempre quando c’era bisogno
di lui. Anche se non era ancora mezzogiorno era sicuramente disteso
sotto un carro o in mezzo al fieno con in mano una bottiglia vuota di
Tio Pepe. Le compagne intanto cercavano di farle da scudo contro il
vento sferzante con i loro corpi massicci e con la loro vicinanza
tentavano di darle quel calore che le mancava in quella buia giornata
d’estate. Il freddo faceva sussultare il corpo di Carmen che già era
attraversato da quelle terribili contrazioni. Il piccolo che teneva al
caldo nella sua pancia aveva fretta di venire al mondo, lo sentiva
scalciare dentro di se, lo sentiva premere verso quell’unica via di
uscita che gli avrebbe permesso di venire al mondo. Da fuori il freddo
la comprimeva e da dentro il calore la faceva esplodere. La natura stava
combattendo contro se stessa. Gli agenti atmosferici, le forze della
natura, acqua e vento, capaci di scolpire e modellare l’intero pianeta
se la stavano prendendo con la povera Carmen, intralciando l’atto di
amore più sublime e spettacolare, la nascita di un nuovo essere vivente.
Il vento soffiava freddo ed il ventre ribolliva rovente. Dondolandosi
nell’alternanza delle sensazioni; freddo, caldo, freddo, caldo, freddo e
caldo, appeso a questa altalena della natura, alla fine l’evento ebbe
il suo culmine e finalmente Carmen gettò in aria il suo grido di
liberazione, un muggito tonante come non se ne erano mai sentiti in
tutta la Spagna.
Dal ventre provato della povera Carmen fecero finalmente capolino
due nerissime narici che trassero un profondo respiro e gettarono il
loro primo sbuffo di fiato, che in quell’aria fattasi fredda dal tanto
piovere, si trasformò in una calda, fumante minaccia. Sembrava quasi che
il piccolo nascituro si apprestasse ad affrontare il mondo come ogni
Toro è costretto a fare, come in una Corrida. Un nefasto presagio o un
glorioso destino scritto per ogni vitello nato nelle pianure sterminate
della Castilla La Mancha piatta campagna stesa intorno al paesotto di
Las Pedroñeras.
Quando fu chiaro che
Manolete era realmente il Manolete che Felipe attendeva e che Carmen
avrebbe amato come e più di se stessa, il vecchio Toro non riuscì più a
trattenere le sua già incontenibile gioia per quella nascita così
cercata e così voluta da entrambi. Felipe de Leon y Salamanca y
Burruchaga y Gutierrez y Barça, questo era il suo nome completo, prese a
correre e scalciare per tutta la Meseta da Toledo fino a Benidorm. A
vederlo da lontano appariva come un Toro impazzito di quelli che si
vedono correre a Pamplona in mezzo alla folla, solo che in questo caso a
spingerlo non era la paura ma la contentezza, la gioia, la vera e
propria felicità. Correva di mucca in mucca, di Toro in Toro e non
bastandogli si fermava anche dai muli, dai cani e rincorreva persino i
conigli, che impauriti fuggivano saltando e sgambettando per le valli
dintorno. Tutto questo per avvertire, avvisare, far saper al mondo
intero che era arrivato, lui il primogenito di una stirpe lunga e fiera,
il primo, un Torello ma che dico un Toro in corna e pelo, che avrebbe
sicuramente fatto parlare di se in ogni fattoria, in ogni campagna e
sopratutto in ogni Plaza de Toros. Manolete de Leon y Salamanca y
Burruchaga y Gutierrez y Barça y Sevilla, questo sarebbe stato il suo
appellativo, completato dalla casata della madre, Carmen de Sevilla che
tanto aveva lottato per portarlo dentro di se, che tanto lo aveva
accudito nel suo ventre e che tanto stava soffrendo mentre lo metteva al
mondo.
Con un ultimo sofferente, sovrumano, anzi sovrabovino sforzo
Manolete venne finalmente alla luce. Fumante del calore del ventre
materno, nero, con un gran bel paio di narici ancora più nere,
circondate da una finissima areola rosea, grandi orecchie nere e due
profondissimi occhi neri appena evidenziati da un lieve corona bianca
che li faceva sembrare ancora più scuri del buio della notte. In quel
mattino di pioggia, di scure nubi e di vento si durava quasi fatica a
vederlo tanto era nero nello scuro di quel giorno senza sole. I due
occhietti, perché tali erano come quelli di un qualsiasi altro cucciolo
di un qualsiasi altro animale feroce o docile che sia, quelle due
profonde bolle nere emanavano terrore puro. Il povero Manolete si era
ritrovato tutto ad un tratto fuori da quel caldo e accogliente grembo
che lo aveva cullato fino a pochi attimi prima ed in cui si era tanto
ben accomodato. Così bene che aveva pensato di non muoversi da lì per
nessuna ragione al mondo. Invece tutto ad un tratto senza avvisi e senza
essere stato interpellato era stato sbattuto fuori così all’improvviso
come se quella non fosse più casa sua, fradicio, tremante e
infreddolito, si era svegliato tutto ad un tratto in mezzo al mondo di
fuori, impreparato a qualsiasi cosa e solo. Chiaramente, semplicemente e
drammaticamente solo o per lo meno questo era quello che temeva lui.
Ma, per sua fortuna e così come è naturale per ogni cucciolo che viene
al mondo, così non era. L’enorme spavento che il piccolo Manolete si era
preso era manifestamente ingiustificato, in quelli che al Torello
sembrarono attimi infiniti ma che non furono più che pochi secondi, la
stanca e sfinita Carmen ebbe appena il tempo di riprendersi, prima di
dedicarsi di nuovo al suo amato pargoletto. Si avvicinò a Manolete con
quel gran simpatico sorriso bonaccione che tutte le mucche si ritrovano
stampato sul muso e dette il benvenuto al figlio.
<Oh, caro il mio piccino, non temere e non tremare, c’è qui la
mamma che adesso pensa a te> disse fra un sospiro affannato e uno
degli ultimi lancinanti dolori che ancora le tempestavano la pancia.
<Mamma? Oh si! Tu sei la mia mamma!> esclamò Manolete, che
ancora non si capacitava di cosa veramente volesse dire, mentre malfermo
sulle gambe, si preoccupava più di mantenersi in equilibrio che non di
capire cosa stava accadendo intorno a lui. In fondo era appena arrivato,
aveva tutto il tempo possibile ed immaginabile per mettere bene a fuoco
quello strano e immenso mondo che vedeva intorno a se.
Tutto ad un tratto si
senti un gran scalpiccio e un muggito roco e profondo si fece sentire
alle sue spalle. Junaito era finalmente arrivato, barcollante e malfermo
almeno quanto Manolete. Era venuto a controllare che tutto fosse andato
bene, voleva assicurarsi che i suoi beni, così chiamava il bestiame
della fattoria dove lavorava, fossero stati ben incrementati. Un
vitellino, soprattutto un Toro che si fosse rivelato adatto all’Arena,
voleva dire un sacco di soldi e a lui i soldi piacevano un sacco! Ma
naturalmente non era Juanito l’origine del muggito, l’allevatore aveva
aperto il cancello e l’impaziente Felipe era finalmente potuto entrare
trotterellando felice verso il suo Torello.
<Eccomi, eccomi!> muggì forte Felipe, giunto di corsa ad
ammirare l’orgoglio della sua vita, il suo primogenito, un Toro.
<Figlio mio, Manolete, grande figlio mio, dono dell’amore, frutto di
Carmen, mio orgoglio mio…> mentre il felicissimo padre continuava a
complimentarsi a turno con il piccolo Toro, con se stesso e con la
madre, quest’ultima prese a leccare il figlio asciugandolo della
pioggia, che ormai stava smettendo ma soprattutto di tutti i residui che
ancora si portava addosso della sua lunga avventura prenatale appena
terminata e disinfettandolo accuratamente in ogni posto ed in maniera
particolare dove ancora si vedeva il segno di quel cordone che lo aveva
legato a doppio nodo con la madre, quel condotto attraverso il quale era
stato nutrito e che in fondo anche se ormai era stato strappato, non
sarebbe mai definitivamente scomparso. Quel cordone lo avrebbe legato a
sua madre per tutta la vita e le corna che presto gli sarebbero spuntate
lo avrebbero cinto a doppio nodo con il suo amatissimo padre Felipe.
<Slap, slap, slap> lo leccava la mamma, mentre tra una
linguata e l’altra cominciava ad impartire al piccolo Toro i primi
semplici insegnamenti, <Nio nsono na nanna, nui né napà nil niù nel
noro ni nunna na npagna> spiegava continuando imperterrita a
leccarlo, tirando fuori una frase arruffata in un incomprensibile
linguaggio.
Manolete si mise a guardarla e altrettanto fece Felipe il quale pensò bene di intervenire.
<Tua madre sta cercando di dirti che lei è… ehmm… appunto è tua
madre. Anche se parla mentre ti lava con la sua lingua e questo rende
tutto più difficile!>
<Oh si Felipe che sbadata. Ero così presa a rendere lindo
nostro figlio e non mi sono resa conto di non poter fare le due cose
insieme>
<Oh insomma… tu pensa a ripulirlo ben bene per adesso. Ci
penserò io alla parte educativa, intanto parlo un po’ con il più bel
Torello di tutta la Spagna…>
<Già certo la fai facile tu. Guarda che il piccolino deve
essere ben accudito e messo in ordine perché è gia l’ora che cominci a
nutrirsi>
<Muuuuu!> esclamò accondiscendente l’affamato vitello.
<Oh le mie mammelle sono tutte gonfie, se non ripulisco alla
svelta questo vitellino ribelle e non gli do un po’ di latte, credo
proprio che mi scoppieranno. Su avanti piccino, fatti dare una bella
sistemata… slap, slap, slap… ecco qua! Una ripulita… slap, slap, slap…
ed ecco fatto. Slap… un’ultima leccata al ciuffo e… adesso sarà meglio
che tu cominci a succhiare il tuo bel latte caldo caldo fatto dalla
mamma. Su da bravo bel torellino su piccolino…..> continuava quasi
parlando tra se e se la felicissima Carmen che quasi non credeva ai
propri occhi ogni volta che incontrava quelli del piccolo Manolete. Per
lei era davvero il più bel Torello di tutta la Meseta, di tutta la
Spagna, anzi il più bel Torello del mondo. Altrettanto era naturalmente,
per lo strafelice padre Felipe che non stava più nella pelle dalla
gioia e riprendeva la madre per ogni cosa che faceva, a suo dire, sempre
e indiscutibilmente nel modo sbagliato. Certo! Secondo Felipe tutto
doveva esser fatto nella migliore maniera, tutto per il suo piccolo
“Toro bravo”.
<Ma cosa fai! No! Non di qua! Si qui, non non così! Qua è
bagnato, li è già asciutto. No, no… ecco qui, si più giù… no più su… oh
uffa! Forza su Manolete, succhia succhia il buon latte della mamma,
succhia e cresci. Forte, grande e nero! E con le più robuste corna che
si siano mai viste in una Corrida, oh sì la Corrida….> e subito
Felipe cominciò a vagare tra i suoi sogni prediletti. La Corrida, già sì
la Corrida. Il più bel desiderio non esaudito di Felipe.
Per fortuna diremmo noi! Il vecchio Toro adorava la Corrida ma in
realtà c’erano un sacco di cose che non conosceva assolutamente di
questo, a suo vedere straordinario, ma più che altro pericoloso
spettacolo. E non si sarebbe mai immaginato cosa fosse veramente la
Corrida! Un duello. Un duello ingiusto che il Toro avrebbe sempre e
comunque perso.
A dir la verità Felipe
ne aveva solo sentito parlare. Qualche volta aveva assistito per caso
alla Tienta, una specie di prova di combattimento, senza armi letali, a
cui vengono sottoposti i giovani Tori per stabilire il loro grado di
difficoltà. Più il Toro si dimostra tosto, più onore avrà il Torero che
lo abbatterà. Ma più di questo Felipe non sapeva. Come non lo sapeva
nessuno alla fattoria e neppure nei dintorni. Nessun animale aveva mai
assistito ad una Corrida, eccezion fatta per i cavalli, che però erano
più amici degli uomini che degli altri animali. La differenza fra Felipe
e i Tori della Meseta era che agli altri non interessava minimante
quell’inutile gironzolare intorno a un drappo rosso, per Felipe invece,
che non poteva correre a causa della sua zampa pazzerella, partecipare
ad una Corrida aveva assunto un valore incalcolabile. L’impossibilità di
prendervi parte aveva trasformato quel triste spettacolo in un opera
d’arte, a cui prima o poi in sua vece avrebbe avviato il suo
primogenito. Probabilmente Manolete sarebbe entrato in un’Arena
indipendentemente dalla sua volontà e da quella di suo padre Felipe, ma
alla fine lo fece nel peggiore dei modi. Invece che inconsapevole di ciò
che stava accadendo, come ogni Toro che entra galoppando all’interno di
quel cerchio sabbioso, si ritrovò ad affrontare ciò che mai avrebbe
potuto credere in un modo che mai avrebbe immaginato.
Ma ritorniamo a noi, quando tra sogno e realtà, Felipe si coccolava il neonato torellino.
<Oh sì, insomma… ecco… è che ci sono così tante cose che ti
devo raccontare> insisteva, mentre Manolete lo guardava con due occhi
straniti e interrogativi e nello stesso tempo passava di capezzolo in
capezzolo a succhiare il latte materno, così dolce e succulento. E poi
con la fame che si ritrovava sembrava ancor più buono.
<Smuch, smuch, smuch> annuiva attento Manolete, mentre
Carmen cercava invece un po’ di tregua dal suo amorevole ma travolgente
Felipe.
<Suvvia, faci respirare, abbiamo fatto una bella faticata oggi
io e questo mangione! Ahi! Senti come succhia. Su Felipe lasciaci in
pace, avrai tutto il tempo che vorrai per fargli conoscere i tuoi
sogni>
<Smuch, smuch, smuch> sottolineava l’affamato Manolete.
<Oh, sì, perdonami Carmen, mi sono lasciato travolgere dagli
eventi, adesso pensa tu al piccolo, io intanto vado alla fattoria oltre
la collina. Vado a raccontare tutto a quell’antipatico di Ramon, quel
vecchio bue, lo farò schiattare dall’invidia. Sì, sì, sì… Manoleteee…
corridaaaa… onoreeeee… gloriaaaaaa… tutta la Spagnaaaaaaaaaa…>
continuava a blaterare beato mentre si allontanava lasciando finalmente
in pace mamma e neonato.
<Smuch, smuch, smuch> succhiava felice Manolete, che coppia i
suoi geniTori, veramente bravi e spassosi. Sua madre così amorosa e suo
padre, suo padre così allegro! Era un Toro davvero fortunato ed avrebbe
fatto di tutto per rendere loro felici quanto si sentiva lui adesso.
Finalmente non faceva
più freddo. Manolete osservava incuriosito quel nuovo ambiente
sconosciuto e attraente, con i colori che si facevano via via sempre più
vivaci con il riapparire del sole. Caldo e prorompente faceva capolino
tra le nuvole scure e ancora cariche di pioggia ma che il vento avrebbe
mandato da qualche altra parte. I fiori cominciavano ad apparire nello
splendore dei gialli, dei rossi e dei viola, spuntavano festosi tra le
mille tonalità di verde e di oro che costellavano la pianura ondulata
intorno a loro. All’ombra di un olivo, al caldo del tepore materno, il
torellino continuava a succhiare guardandosi intorno e ascoltando con
orecchie meravigliate le parole tenere della madre che lo coccolava e
quelle farfuglianti e fantasiose del padre che gli raccontava quella che
sarebbe stata la sua vita. E sì, perché Felipe aveva le idee ben chiare
su quello che sarebbe stato il futuro di Manolete, anche se la sua
completa ignoranza in materia non gli lasciava capire in quale guai lo
stava andando a cacciare.
Felipe era un gran Toro! Nero, enorme, potente e possente, forte e
coraggioso con un unico, piccolo, banale ma vitale difetto. Eh si
vitale! Perché se da una parte aveva rischiato di la vita per quanto gli
era accaduto, dall’altra gliela aveva salvata impedendogli di
partecipare ad una vera e propria Corrida. Quando tutto accadde Felipe
era molto piccolo, ancora succhiava il latte della sua cara mamma,
Isabelita, proprio come aveva appena cominciato a fare Manolete. Era una
notte buia e tempestosa, proprio come quelle dei film e dei racconti
dell’orrore, un potentissimo fulmine aveva colpito la stalla dove stava
riposando al calduccio tra le vacche e i Tori e improvviso era scoppiato
un incendio che fra legna, paglia e fieno, si era propagato in quattro e
quattr’otto! Nel fuggi fuggi generale Felipe era rimasto vittima della
paura che si era sparsa improvvisa fra Tori, mucche, cavalli, cani e
oche. In un attimo di estremo panico il povero Torello era rimasto
travolto e sepolto sotto gli zoccoli dei suoi fratelli e cugini. Si era
così fratturato la zampa posteriore destra, trovandosi in grave pericolo
di vita. Juanito, allora giovane allevatore ma non certo migliore di
adesso, non sapeva davvero che farsene di un Toro con una gamba rotta ed
era pronto ad inviarlo al macello. Ma la gran forza d’animo e la
resistenza del giovane Felipe e il minor incasso che avrebbe fatto
fruttare al padrone, Don Gonzalo de la Hacienda, vendendolo
frettolosamente, lo convinsero a tenerlo ancora per un po’. Felipe
crebbe forte e sano, a parte la zampa, ripagando persino Jaunito per
avergli conservato la vita. La gigantesca mole che riuscì a raggiungere
non passò inosservata all’occhio esperto di Don Gonzalo, che ebbe il
coraggio di farlo partecipare ad un concorso di Tori. Non solo non andò
male, ma da allora in poi divenne il coccolo del padrone e partecipò a
tutti i concorsi conosciuti. Non arrivò mai primo, la sua zampa
cigolante non glielo permise, ma vinse più di cinquanta fra premi
speciali e menzioni d’onore in vari concorsi in giro per l’Europa. Il
pur lieve ma presente zoppicare gli impediva di avanzare in tutta la
fierezza di cui disponeva e che l’avrebbe reso certamente l’indiscusso
vincitore di ogni gara. Grazie però a tutto questo divenne il più famoso
Toro d’Europa e ciò gli permise di continuare a vivere nell’allevamento
di Las Pedroñeras, di conoscere Carmen ed infine di assistere alla
nascita del Piccolo Manolete.
Tutto questo gli aveva però impedito di essere coinvolto in quella
che, a torto, a lui era sempre sembrata la più festosa, meravigliosa e
gloriosa attività per un Toro, la Corrida. Come ben sappiamo Felipe non
ne aveva mai vista nessuna ma ne aveva tanto sentito parlare. Tori
grandiosi e possenti, cavalli, Toreri e corse per l’Arena. Aveva
assistito ad alcuni allenamenti e quel poco che aveva potuto vedere,
aggiunto a quel poco che aveva potuto sentire dagli uomini e dagli altri
Tori, gli avevano fatto credere che la Corrida fosse una gran festa di
eleganza e potenza, una sorta di ballo fra Toro e Torero con pose
eleganti e applausi scoscianti. Felipe non sapeva e non aveva mai capito
esattamente, qual’era la fine che faceva il Toro. Negli allenamenti a
cui aveva assistito, il grosso bestione che aveva corso a perdifiato per
tutta l’Arena, veniva rifocillato a dovere e magari gli veniva dato
anche qualche bocconcino prelibato, erba fresca e a volte del miele. Non
sapeva il povero Felipe che nella vera Corrida il Toro veniva ucciso.
Non si rendeva conto di dove avrebbe spinto il piccolo Manolete, ma gli
insegnò comunque un sacco di cose con grande grande amore e tutto
questo, al momento giusto, fu davvero utile al Toro che Manolete sarebbe
ben presto diventato.
Carmen da parte sua cercava invece di distogliere l'interesse di
Manolete da quella strana e insulsa cosa che era per lei la Corrida.
D'altronde non conoscendola gli faceva un po' paura e poi aveva imparato
che degli uomini bisognava fidarsi poco e quando era possibile anche
meno. Meglio essere diffidenti e andare cauti con gente rappresentata
così male da tipi come l’allevatore Jaunito. Aveva visto sparire troppe
sue compagne in modo misterioso per fidarsi ciecamente di quegli strani
esseri che camminavano su due gambe sole. Per questo cercava di
dissuadere Felipe dall'assillare il loro piccolo con tutte quelle sTorie
sulla Corrida e sui Toreri.
<Io credo che ci siano altre cose per un torellino, non solo giochi e Corrida>
<Ma cosa dici Carmen, ah la Corrida! Festa, gente che applaude,
olè, olè, ah il profumo della terra battuta, olè, ole!>
<Si ma un bravo Toro deve pensare a crescere per bene. A
imparare le cose della vita, come hai fatto tu. Non solo rincorrere un
cencio rosso perché te lo sventolano davanti al naso. Tu sei un Toro
famoso ovunque, qui tutti ti invidiano e ti vogliono bene, cosa potrebbe
volere Manolete più di questo?>
<Quel cencio rosso si chiama mantilla ed nel suo danzare e
volare che si svolge tutta la Corrida e un vero Toro Bravo deve saper
danzare con il suo Torero. Così! Zam zam za za zam, zam zam za za
zam> la apostrofò indispettito cominciando a volteggiare con quel suo
incedere strano dovuto alla zampa birichina che lo aveva tenuto lontano
dall’Arena e che gli aveva fatto desiderare così tanto la Corrida
<Manolete supererà la mia fama, per lui ci sarà il mondo e la gloria,
la vera gloria. Non una coccarda e una pacca sulla schiena, la gente
farà a pugni per poterlo veder danzare così, zam zam za za zam, zam zam
za za zam>
<Speriamo di no! Lo sai che sei proprio buffo quando balli>
lo canzonò amorevolmente Carmen <Ti ci vedo bene con una fascia
bianca in vita e un cappello a tesa larga mentre balli il flamenco con
qualche bella dama di Toledo, altro che Corrida!>
<Sì si prendimi pure in giro ma se avessi potuto correre,
adesso sarei il più famoso Toro della Spagna e di tutta l'Europa per il
mio Toreare nell'Arena non solo perché sono grosso e nero. Beh…anche
questo mi rende fiero e poi…>
<Uh guardatelo, adesso sta diventando rosso. Lascia stare la
Corrida, che le tue soddisfazioni te le sei prese in lungo e in largo
per il mondo. Anche se non hai mai vinto sei il Toro più conosciuto e ad
ogni fiera aspettano sempre di vedere te>
<Si, si qui siamo passati all’adulazione pur di sviare questo
gran maestro dell’Arena. Tu mi stai portando lontano dai miei intenti ed
io invece devo parlare con il piccolo Manolete e insegnarli il
mondo>
<Per il momento insegnagli a succhiare bene il latte che non fa
altro che passare da un capezzolo all'altro senza riuscire a succhiare,
visto che si gira continuamente a guardare te mentre fai zam zam za za
zam, zam zam za za zam. Non fai altro che saltellarci intorno e poi
danzare e poi…>
<Cosa fai prendi in giro la mia eleganza, prendi in giro il più
bel Toro di todo el mundo? Chiquita ricordati che sei crollata fra
queste zampe con un solo sguardo>
<Oh stupidone ma che dici mai davanti al piccolo! Cosa dovrebbe
pensare, non fare il cascamorto mentre allato Manolete. Già non succhia
perché guarda te e quando non ti guarda non ci riesce lo stesso perché è
troppo impegnato a ridere del tuo zam zam za za zam, zam zam za za zam
…>
<Muuuuuuuuuuu> si fece finalmente sentire il piccolo Toro <Muuuuuuuuuuu, muuumamma>
<Senti ha parlato. Che carino hai sentito a detto muuumamma, che tesoro ha sentito subito quanto bene gli voglio>
<Ah si non ne dubito. Fatto sta che io ho sentito bene e ha detto muuuupapà, sì sì, ho sentito bene io>
<Ma cosa dici a detto muuumamma>
<No ha detto muuuupapà>
<Muuumamma>
<Muuuupapà ho detto!>
<No, muuumamma>
La disputa ando avanti fino a sera, mentre il piccolo Manolete
continuava a succhiare a muggire e ridere vedendo i suoi buffi geniTori
continuare a prendersi così amorevolmente in giro grazie a lui.
Terminò in questo modo quel suo primo giorno di vita. Il sole era
finalmente riuscito a farsi breccia fra le scure nubi piovose e se ne
calava dietro le colline, invitando tutti ad andarsene a dormire. Dopo
una giornata come quella c’era davvero bisogno di riposare per esser
pronti ad affrontare la giornata che li avrebbe attesi dopo la prossima
alba. E di albe ce ne sarebbero state tante e poi tante ancora per il
neonato Toro Bravo che intanto, come tutti, doveva intraprendere la
personale Corrida con la vita da vitellino, mica facile!
Manolete cresceva a vista d'occhio, attaccato quanto più poteva ai
capezzoli rosa e nutrienti della mamma, dopo le prime inconcludenti e
titubanti poppate aveva imparato a succhiare come un provetto mungitore.
Era diventato così bravo e affamato, che si succhiava via più di cinque
litri di latte al giorno e di lì a poco sarebbero potuti diventare fino
a quattordici, per arrivare alla fine dello svezzamento. La paziente
Carmen accettava con infinita gioia quella dolce tortura pur di restare
vicino a quello che per sempre sarebbe rimasto il suo piccolo Manolete.
Anche quando, se tutto fosse andato come il padre voleva, che non era
ciò che lei desiderava, il Torellino fosse diventato veramente un Toro
Bravo.
Carmen Era una bellissima mucca di razza Miura, come Felipe, con
un mantello bruno che intorno agli zoccoli diventava così scuro da far
sembrare che avesse un bracciale ad ogni zampa. Forse era stata proprio
quella sua particolarità ad attirare e conquistare l’allora giovane
Felipe, insieme naturalmente al carattere dolce, alla civetteria e alla
malizia che contraddistingue tutte le femmine di questo mondo.
Carmen era una mucca
con le zampe ben piantate per terra, aveva avuto un insegnamento molto
severo dai suoi geniTori, quelli che da adesso in poi sarebbero stati
chiamati nonno Raul e nonna Paloma, una allegra coppia bovina ormai in
pensione. Lei brucava tutto il giorno e lavorava saltuariamente alla
fabbrica del latte dando quel che ancora poteva essere succhiato dalle
sue non più tanto delicate, ma pur sempre esperte e produttive mammelle.
Raul, burbero e sempre distratto non era mai stato buono nemmeno lui
per la Corrida, anche se contrariamente al genero non aveva lasciato
crescere in se alcun desiderio in questo senso. La sua distrazione non
lo aveva mai fatto interessare a tutto quel via vai di Toreri intorno a
lui e a quel cencio rosso continuamente in movimento. Mai lo avrebbe
chiamato “cencio rosso” davanti Felipe, avrebbe scatenato un comizio
sulla Corrida della durata minima di tre quarti d’ora, durante il quale
sarebbe stato illuminato a dovere, per l’ennesima volta, su tutto quello
che riguarda la Corrida, bla bla bla bla bla! Gli uomini avevano perso
un po' di tempo con lui ma l'insoddisfazione delle reazioni poco taurine
di Raul lo avevano fatto allontanare dall'Arena e dalle Corride. Si era
così ritirato nelle campagne de La Mancha non lontano da Toledo, dove
aveva conosciuto Paloma. Matrimonio, viaggio di nozze in campagna e poi
era arrivata Carmen. Seria quanto bastava ma anche lei con i suoi sogni e
i suoi desideri, aveva lavorato a tempo pieno alla fabbrica del latte
fino a un paio di mesi prima di parTorire e avrebbe ricominciato appena
possibile. Certo non prima di aver sfamato l’insaziabile Manolete.
Questo però voleva dire che per almeno altri sei mesi lei e il compagno
Felipe si sarebbero potuti godere il loro torellino in santa pace prima
di ricominciare a lavorare. Lo avrebbe allattato, curato, accudito per
tutto quel tempo come dal primo momento e lei e Felipe gli avrebbero
insegnato la vita, per quello che avrebbero potuto, per il resto la vita
stessa si sarebbe fatta insegnante per tutti.
Manolete cominciava a fare i suoi primi passi lontano dalla madre,
anche se per molto tempo ancora avrebbe avuto bisogno di lei. Avrebbe
smesso di succhiare il latte non prima dei nove mesi e allora sarebbe
già sembrato un Toro di dimensioni ragguardevoli, anche se in realtà
sarebbe stato ancora un bamboccione. Se la sua stazza glielo avesse
permesso, avrebbe saltato come un grillo per tutta la Meseta. A
proposito di grilli, cavallette e farfalle, avete mai visto un cucciolo
che fosse di animale o che fosse di uomo, che non si sia lasciato
affascinare dai curiosi animaletti che popolano i prati, le case o le
stalle? Beh, credo proprio di no, e certo Manolete non era uno di quelli
che si sarebbe tirato indietro. Saltellare, sgambettare e rincorrere
questi ronzanti e colorati insetti era per lui uno spasso infinito che
non riusciva mai a fiaccarlo, era capace di rincorrere un farfalla di
fiore in fiore e un grillo saltando di filo d’erba in filo d’erba. Fu
anche questa sua particolare agilità che indusse Felipe a convincersi
ancor di più, se mai fosse stato necessario, che il suo pargoletto
sarebbe diventato il miglior Toro da Corrida visto in un Arena. Al
contrario Raul, Paloma e anche la mamma Carmen vedevano in questo suo
esser fantasioso e spensierato proprio ciò che lo avrebbe dovuto tener
lontano da quello strano gioco, di cui non ne conoscevano l’effettiva
pericolosità ma che a loro comunque non piaceva. C’era da aver troppo a
che fare con gli uomini e degli uomini non c'era mai da fidarsi più di
tanto.
Manolete invece non ci pensava, rincorreva le api, osservava i
grilli e correva disperatamente dietro alle farfalle. Queste erano le
sue preferite e un paio di volte era perfino riuscito a farsene posare
una sul naso, proprio in mezzo agli occhi in modo da poterla osservare e
ammirare da vicino.
<Ciao piccola farfalla come ti chiami> muggì il torellino
inconsapevole di quello che l'animaletto avrebbe potuto udire, un
muggito frastornante come l’urlo di una sirena.
<Ci sento bene> le rispose <mi chiama Valentina e sono
una farfallina di campagna, miei colori sono quelli del cielo e dei
prati, e tu così grosso e imponente chi sei?> chiese a sua volta con
la vocina striminzita che si ritrovava e Manolete che a fatica era
riuscita ad udirla le rispose con un filo di muggito.
<Io mi chiamo Manolete e presto sarò il più bravo Toro da
Corrida di tutta la Spagna. Così mi ha detto mio padre, lui mi racconta
sempre un sacco di cose sul mio futuro e sulla Corrida. E tu hai mai
visto una Corrida?>
<Corrida? No per carità deve essere quel girotondo che voi Tori
fate con gli uomini giù in città e per noi farfalle ormai non è più
possibile vivere in città, c'è un gran puzzo puzzolente e l'aria e
decisamente irrespirabile>
<Ti devo dare pienamente ragione> intervenne una cavalletta
<Quel posto è davvero invivibile> la discussione appassionò
Manolete e lo riempì di gioia, era riuscito a trovare un'altro di quei
simpatici compagni di campagna con cui scambiare quattro muggiti, e sul
suo argomento preferito: gli uomini.
<No no, ci sono stata una volta e non ci ritornerei per tutto
il polline del mondo, non ci resisterei nemmeno un batti d'ali>
puntualizzò Valentina.
<Io ci sono finita per sbaglio saltando su di un grosso camion
che trasportava maiali e non mi è piaciuta per niente, per fortuna il
giorno dopo è tornato a fare un altro carico e mi ha riportato indietro.
Quella nottata in città me la ricorderò finché salto. Rumore, fetore,
luci, non sono riuscita a chiudere occhio per un attimo. Ah a proposito
io sono Rosa la cavalletta, gli amici mi chiamano simpaticamente Rosetta
per far prima, ma io preferisco essere chiamata Rosa>
<Certo Rosa. E io
così ti chiamerò ma ti prego raccontami ancora della città e degli
uomini, non vedo l'ora di conoscerli più a fondo>
<Dopo che avrai avuto a che farci non ti interesseranno più così tanto> riprese Valentina.
<Ti devo dare pienamente ragione > aggiunse ancora Rosa e
prese a elencare a Manolete di Luci colorate, di file infinite di auto
puzzolenti e gente dappertutto. Chi gridava di qua, chi correva di là,
per tutta la notte non c'era stato un attimo di silenzio. No, soggiunse
la cavalletta, decisamente lì in campagna era tutto molto più tranquillo
e sereno. Ma alla domanda di Manolete, quella importante, quella che
parlava di Corrida, neanche Rosa poté dare una risposta. Ne aveva
sentito parlare ma non ne aveva mai vista una, ne tantomeno conosceva
qualcuno che ne sapesse più di lei. Comunque concluse Rosetta lui Toro
era, e la Corrida era affare di Tori. Presto ne avrebbe potuto
sicuramente raccontare lui più di ogni altro e loro sarebbero state
felici di starlo ad ascoltare. E tanto bastò a Manolete per continuare a
sognare.
Finalmente conobbe l'uomo. Si certo ne aveva visti tanti intorno
alla stalla, venivano a mungere le vacche, a portare il fieno per gli
animali e li venivano a cercare la sera per farli rientrare nella loro
accogliente stalla ma nessuno gli si era ancora avvicinato come accadde
quel giorno. Erano tre, uno era il solito Juanito, che quel giorno era
irriconoscibile dritto e sveglio come non lo aveva mai visto prima,
sembrava lui il padrone. Poi c’era davvero il padrone, Don Gonzalo de la
Hacienda piccolo e cicciotello, la faccia rubiconda gli occhi come due
fessure incise nel grasso delle guance. Manolete lo aveva già visto
altre volte ma solo da lontano e gli era sembrato un omino simpatico che
carezzava sempre tutti gli animali, non come altri che spesso usavano
modi molto più rustici per farsi capire anche se non ce n'era bisogno.
Don Gonzalo invece era molto gentile ed aveva un tocco vellutato e
caldo, si sentiva che ci teneva a loro ed a Manolete piaceva moltissimo
essere accarezzato in quel modo, gli ricordava il caldo contatto della
mamma e del papà. Assieme a loro c'era un altro uomo, alto, segaligno,
con gli occhi nascosti dietro due cerchi neri a specchio, ben vestito.
Veniva dalla città e si teneva a debita distanza quasi avesse paura di
potere essere sciupato da Manolete. Ah già, poi ce n’era un quarto, un
cucciolo d’uomo, un bambino, che appena lo vide gli saltò letteralmente
addosso carezzandolo, strizzandolo e baciandolo.
<Che buffi gli umani> pensò Manolete <Uno ha paura di me e l'atro mi porterebbe a casa>
<Ciao io sono Manolo e tu bel vitellino come ti chiami?>
<Vitellino a chi > muggì Manolete,<Io sono un Toro e ben presto farò girare la testa a tutti alla Corrida>
<Lui è Manolete> intervenne il contadino <E' l'ultimo nato nella stalla, è un gran bel vitello>
<Ridagli con il vitello, Io sono un Toro!> esclamò Manolete che chiaramente non fu capito da nessuno degli umani.
<Presto diverrà un Toro di ottime dimensioni e se ti piace
potrai anche allenarlo per le tue Corride> disse Don Gonzalo
rivolgendosi all’altro uomo, che poi era il fratello anche se non gli
assomigliava per niente <Altrimenti sarà sicuramente un ottimo
esemplare per la monta. Buon sangue non mente, anche suo padre è un
meraviglioso Toro, sapete Manolete è figlio di Felipe>
<Sì, Felipe lo conosco, ho sentito dire che ha vinto un sacco di premi, me lo fai vedere zio> chiese il piccolo.
<Certo! Andiamo, che tuo padre non vede l'ora di tornare in
città, gli manca la puzza delle sue auto. Meno male che ogni tanto si
ricorda delle origini e torna nella sua Meseta, anche se solo a caccia
di Tori da matare!>
Fu a quel punto che l’uomo con gli occhiali gli fece una carezza e
Manolete rabbrividì a quel tocco, si sentì come succhiare via il
sangue. Come di essere stato toccato e guardato, nonostante gli occhiali
a specchio, come lui guardava il fieno prima di mangiarlo, come lui
annusava l’erba prima di farsene un sol boccone. Come se volesse
approfittare di lui.
Il trio di umani si allontanò e Manolete aveva ancora su di se il
buon profumo di cucciolo che il bambino gli aveva lasciato addosso.
Erano proprio belli i cuccioli di uomo, non vedeva l'ora di incontrarne
altri, erano molto divertenti e affettuosi e Manolete sperava che anche
gli altri umani fossero come il suo padrone o come il piccolo Manolo,
dolci e buoni quanto era lui. Così cercava di scrollarsi dagli zoccoli
quella brutta sensazione che aveva provato quando l’uomo con gli
occhiali lo aveva sfiorato. Quella specie di gelo che lo aveva
attraversato dalle corna, che ancora non aveva, fino alla punta della
coda.
Passò il tempo, beh un bel po’ di tempo e Manolete crebbe,
circondato dall’affetto dei suoi geniTori, del buon Don Gonzalo e anche
del piccolo Manolo che ogni tanto andava a trovarlo accompagnato dal
padre, Rodrigo de la Hacienda che aveva i suoi buoni motivi per
controllare come e quanto cresceva il Torello anche se lo faceva da
lontano, per fortuna di Manolete. Passava il tempo e sempre meno era il
tempo che trascorreva vicino alla mamma. Carmen a volte si dispiaceva di
questo ma la vicinanza di Felipe gli rendeva felice ogni momento
lontano dal suo primo e per questo ancor più amato figlio.
Naturalmente anche
Felipe provava le stesse emozioni di Carmen ma non l'avrebbe certo mai
dato a vedere. Troppo orgoglio, troppo onore, troppe coccarde sul petto
per mostrare una simile debolezza. Lui teneva compagnia a Carmen e con
un occhio ed un orecchio seguiva Manolete senza mai lasciarselo
scappare, almeno così credeva lui. Perché come ogni bravo discolo che ci
sia, anche il nostro Manolete sapeva bene come fare a svignarsela di
nascosto, approfittando della minima distrazione del vigile occhio dei
suoi geniTori. Fu proprio durante una delle sue innumerevoli scorribande
nel pascolo, vicino alle bionde spighe di un campo di grano che fece la
conoscenza di un paio di strani esemplari del mondo animale che ben
presto sarebbero diventati i suoi inseparabili e insuperabili amici.
Come ad ogni cucciolo, di animale o di uomo, anche a Manolete non
bastava brucare tranquillamente l'erba del pascolo vicino, magari da
condire alla prima occasione con del buon latte materno. Nooo, a lui
piaceva infilare il muso ovunque e più di una volta con il suo enorme
naso aveva spaventato qualche piccolo roditore o un paio di rane, che
scappando velocemente avevano poi spaventato lui, che con il suo cuore
di cucciolo ancora si rifugiava fra le calde zampe della mamma o del
possente papà, sempre facendo finta di niente. Quella volta infilando il
suo muso fra le bionde spighe del grano si ritrovò faccia a faccia con
un animale che non aveva ancora mai visto, aveva la forma che ricordava
il cane del contadino, anche se molto più piccolo, il pelo fulvo e
morbido, per quel poco che aveva potuto sentire prima di ritrarsi
temendo di aver ancora una volta spaventato chissà quale bestiolina.
Senza perdersi d'animo e ormai non più nuovo a far conoscenza con gli
sconosciuti Manolete avviò l'approccio anche con quello sconosciuto
peloso animale.
<Salve! Sono Manolete, il Toro, beh si Torello ancora per un
po’. Vivo nella stalla della fattoria qui vicino, sono figlio di Carmen e
Felipe e da grande farò la Corrida. E tu come ti chiami e che strano
cane sei con quella bella coda folta e flessuosa>
<Salve> rispose diffidente l'animale <Io sono Zorro, così
mi chiamano e così mi piace essere chiamato, sono una volpe, non un
cane, grosso bestione non ancora cornuto, non ne avevi ancora vista
nessuna?> continuò con un tono quasi scortese.
<No, volpi non ne avevo mai viste e a dire il vero non ne avevo
nemmeno sentito parlare. Però sei molto bello Zorro e mi piace un sacco
anche il tuo nome. Zorro è bello, mi dà l'idea di qualcosa di veloce e
sfuggevole e il mio nome ti piace Manolete , non è male che ne dici?>
<Si non male, Manolete. Non devi essere nemmeno cattivo e forse
non sei neanche stupido> continuava, con quel suo tono superiore
<Mi sa che sei proprio buono tu, ma davvero vuoi fare amicizia con
me?>
<Certo! Perché non dovrei, a me piacciono tutti gli animali
della campagna, mi piacciono perfino gli uomini, che non piacciono quasi
a nessuno e a te piacciono?>
<Gli uomini? Pfui, quando non mi sparano per prendersi la mia
coda, folta e flessuosa come dici tu, mi sparano perché mangio le loro
galline>
<Mangi le galline, puah! Ma come fai? Povere galline sono così
buffe sai, io mi diverto sempre a correre sull'aia e spaventarle,
sentissi come se la prendono con i loro coccodè, coccodè, coccodè! Il
padrone non è che sia molto contento di questo ma è troppo divertente e
poi mica lo faccio tutti i giorni. Ma quando mi prende mi prende e
allora zaaaammmm via per l’aia e le galline coccodè, coccodè, coccodè! E
Don Gonzalo si affaccia alla finestra e mi grida di smetterla. Però
mangiarle mai e poi con tutte quelle piume, puah non ci posso nemmeno
pensare. Che gusti Zorro, puah che gusti!>
<Ma sentitelo questo, sembrava buono e bravo e invece mi sa che
sei proprio un birbone come tutti i cuccioli. Mi sa che andremo molto
d’accordo, anzi aspetta ti presento un amico, un altro strano amico se
devo essere sincero. Ehi Cuervo dove ti sei cacciato. Brutto corvaccio
nero che non sei altro, vieni che ti presento un amico>
Da un olivo lì vicino Manolete vide spiccare il volo ad un
uccellaccio nero e grosso che si precipitò tra di loro squadrando il
Torello con occhi altrettanto neri e interrogativi.
<Che novità sarebbe questa Zorro?> chiese il corvo <Ahh,
ci siamo fatti gli amici grossi vedo. Cos'è si abbandonano le vecchie
compagnie?>
<No, no, ma cosa hai
capito, non fare il finto tonto. Guarda che questo è proprio un
simpaticone, pensa è figlio del campione Felipe, il Toro più famoso che
ci sia, lo conoscono in tutta la Spagna>
<Si ne ho sentito parlare anche io, ma non è che la cosa mi interessi più di tanto>
<Su non fare lo scorbutico Cuervo, guarda che mi sa che noi tre insieme ci possiamo davvero divertire>
<Si dai Cuervo ci divertiremo un sacco tutti e tre insieme>
aggiunse Manolete entusiasta di quell’inatteso incontro e che già si
immaginava allegre scampagnate in compagnia dei suoi due nuovi amici.
<Tu dici che ci possiamo fidare di questo bestione? Di’ Zorro,
non è che questo poi ci mette nei guai con il contadino? E magari va a
finire che tu fai la stola per la pelliccia della moglie e io finisco
impagliato appeso alla parete nel salotto buono!>
<No Cuervo sono sicuro che Manolete sarà dalla nostra parte e
non andrà dal padrone a fare la spia. E se tu vorrai beccare un po' del
suo grano e io godermi il fresco delle sue piantagioni, credo proprio
che Manolete sia l’amico giusto. Il contadino non penserà mai che dove
c'è lui ci siamo anche noi a godercela, senza che possa darci fastidio.
In cambio, se ne avrà bisogno, potremo anche noi dare una mano a
Torellino, ci sarà pure qualcosa che potremo fare per lui?>
<Si sono d’accordo, ha proprio un faccione simpatico e appena
gli spunteranno le corna sarà un bel trespolo su cui accomodarmi e
arrotarmi unghie e becco. Beh… e se potrò essergli d'aiuto lo farò
proprio volentieri. Che spasso, nessuno gli crederà mai se dovesse
andare in giro a dire di esser amico di due come noi. Figuriamoci di
esser stato aiutato da una volpe, noToriamente furba e pronta ad
approfittare degli altri con la sua astuzia e con il suo acume e ancor
di più da un corvo che di solito porta sventura, dicono loro. A me hanno
portato sventura! Altro che! Se il mio piumaggio fosse verde o giallo o
rosso tutti mi adorerebbero, i bambini farebbero a gara per darmi da
mangiare, invece tutto nero come sono mi scacciano e hanno paura di me.
Anche a te però Zorro… ti cacciano ma per trasformarti in pellicce per
le signore. “Gvarda cava, ti piace la mia pelliccia di volpe fulva? Oh,
l'ho pagata una cifva!” Puha! Non saranno tutti come noi, ma io e Zorro
siamo la pace fatta animale su questa terra, figurati che siamo entrambi
diventati vegetariani! Oh si io ero stufo di mangiare quei poveri
vermetti rosa che sbucavano timidi e zozzi dalla terra e poi i ratti
e…>
<Non ci fare caso Manolete, quando comincia a parlare é come un
uccello canterino, non finisce più. Adesso però ci penso io a spegnere
radio corvo reale. Benone, siii, sì benone. Allora ehm se.. sì… se le
presentazioni sono esaurite e i convenevoli sono finiti io dico che
possiamo cominciare a divertirci! Vamos muchachi!>
<Si Zorro, mi piace l'idea! Certo che ci possiamo divertire io
te e Cuervo saremo proprio un gran bel trio. Io sono grosso ma sono
molto giovane, avrete sicuramente un sacco di cose da insegnarmi. Con il
vostro aiuto diventerò il miglior Toro da Corrida che ci sia> muggì
felice Manolete non sapendo quanto era andato vicino alla realtà, i tre
sarebbero diventati inseparabile e per Manolete quella fu un grandissima
fortuna da spendere al momento giusto, oltre che una grande gioia.
Manolete, Zorro e Cuervo presero ad incontrarsi ogni giorno. Quei
due tipi strani erano davvero una fonte inesauribile di avventure per il
maturo vitello. Tante ne avevano passate e tante ne combinavano
insieme. Certo per un Toro non era il massimo giocare a nascondino in
mezzo ad un campo di grano. Il contadino perse parecchie notti di sonno a
domandarsi chi o cosa avesse spianato le sue povere spighe dorate in
quella maniera stravagante, sembrava quasi che qualcuno avesse disegnato
degli strani segni in mezzo al campo. Arrivò addirittura a credere che
potessero essere stati gli extraterrestri, venuti da chissà quale
lontano pianeta sconosciuto a compiere chissà quali studi e ricerche
proprio sul suo campo. Comprò persino una carabina nuova e mise il
chiavistello alla porta della fattoria. Se si fossero fatti avanti
avrebbe venduto cara la sua pellaccia. Viva la terra, viva la Spagna,
evviva il re! Mai avrebbe potuto immaginarsi una armadio quattro
stagioni, così grosso era già diventato Manolete, strisciare tra le
spighe come un enorme serpente, nel vano tentativo di nascondersi alla
vista di Zorro che lo cercava affannosamente. Cuervo si era poi unito a
Manolete nel nascondiglio in mezzo al grano e a quel punto Zorro li
aveva scoperti. Era impossibile non sentire Cuervo gracchiare a più non
posso dalle risate incapace di resistere alla vista di un Toro,
sbuffante e nero che si muoveva come un marines alle grandi manovre.
Quando poi Zorro li raggiunse fu un vero e proprio miracolo che nessuno
li scoprì, tante e tanto alte erano le risate che si fecero tutti e tre
mentre Manolete ancora avanzava quatto quatto nella bionda vegetazione,
come se fosse in adorazione del grano.
In un’altra delle loro scorribande saccheggiarono addirittura un
aranceto. In precedenza avevano già fatto zampa bassa nell’uliveto sulla
collina vicina, ma quei piccoli frutti verdi non erano stati di loro
gusto. Amari e oleosi com'erano avevano fatto rimanere tutti con la
bocca storta e la lingua di fuori, alla ricerca di un qualsiasi altro
sapore che potesse dare sollievo alle loro papille gustative.
Questa volta però
furono più fortunati. Si inoltrarono in una immensa piantagione che
comincia lontano, in alto, alle pendici di Belmonte ed arriva fino alla
Carrettera 301, quella che passa per Las Pedroñeras. Data la vastità
della vittima prescelta si inoltrarono quanto necessario per sfuggire
alla vista di occhi indiscreti. Zorro e Cuervo se la cavavano
discretamente nel mimetismo, era Manolete che, nonostante tutte le
lezioni impartitegli dagli amici, aveva contro la sua non trascurabile
stazza. Quando si sentirono sufficientemente al sicuro Cuervo fece un
volo di perlustrazione e constatata l’assenza di contadini inferociti,
provvide alla scelta della pianta che li avrebbe omaggiati dei suoi
succosi frutti.
Si posò così sui rami più alti, quelli carichi di arance più
mature, perché pienamente baciate dalla luce e dal calore del sole e con
un impeto che non ci si sarebbe mai potuti immaginare di veder
scaturire dalla sua piccola corporatura, all’apparenza tutta piume e
becco, cominciò a scuotere i rami facendo cadere una pioggia arancione
sui due compari. I due intanto se ne stavano tranquilli in attesa
all’ombra della grande chioma verde. Ai piedi della pianta, Zorro e
Manolete cominciarono subito a farsi una scorpacciata di aranci ancora
caldi, preoccupandosi addirittura di sbucciarli. Cuervo che intanto era
sceso a godere del frutto del suo lavoro, piluccava qua e là tra gli
avanzi abbondantemente lasciatigli dagli amici, dopo aver inutilmente
tentato prima di ingoiare un arancio intero, fin quasi a rimanerne
soffocato e riuscendo a sputarlo solo con un gran colpo di tosse, poi di
schiacciarlo con le sue zampette i cui artigli invece si impigliavano
tra bucce e spicchi riuscendo solo a fare una spremuta che si mescolava
alle zolle del campo. Dopo pochi minuti intorno a loro una strage di
aranci faceva da corona al fusto della povera pianta saccheggiata.
Chissà che faccia avrebbero fatto i coltivaTori quando avessero trovato
tracce di animali sotto la pianta insieme alle bucce di arancio,
probabilmente si sarebbero scervellati a capire che senso poteva avere
tutto ciò. Manolete, Cuervo e Zorro invece, collaborando insieme erano
riusciti a sbucciare perfettamente gli aranci, rendendoli ancora più
gustosi di quello che si sarebbero potuti aspettare. Quella sarebbe
stata una delle loro migliori, indimenticabili, innocenti scorribande.
Restarono ancora un po’ a godersi l’ombra della pianta con la pancia
piena e il succo che colava su piume e pelo, raccontandosi barzellette
sui contadini e narrando a turno sTorie, ben più incredibili di quella,
in cui si professavano protagonisti di imprese straordinarie, proprio
come fanno i veri amici sbruffoni che si prendono in giro a vicenda.
Cuervo e Zorro avevano vagabondato parecchio nei dintorni della
fattoria ed entrambi erano arrivati fino alle prime case della città.
Cuervo era perfino volato tra i fumi puzzolenti che la avvolgevano e la
rendevano assolutamente invivibile. Una volta volando lontano fino a
Alcázar de San Juan aveva addirittura assistito a gran parte di una
Corrida che a dire il vero, non gli aveva provocato quella gran
impressione positiva che invece Manolete sosteneva dovesse fare. A
Cuervo comunque non piacevano i giochi fra animali e uomini, erano
sempre gli animali a faticare di più e ad avere il compito peggiore.
Aveva assistito a molte corse di cavalli nel vicino ippodromo e non gli
era parso che alla fine della corsa i cavalli fossero poi così felici
della sgropponata che avevano fatto. Tra l’altro i corridori a quattro
zampe non ricevevano certo le ricompensa che sarebbe loro giustamente
spettata. Quando però Manolete lo venne a sapere non dette più pace al
povero Cuervo il quale fu costretto a raccontargli per filo e per segno
ogni cosa di ciò che aveva visto nell’Arena.
<…e il Toro quanto era grosso? … e io sono abbastanza grosso
per andare nell’Arena? … e il Torero com’è vestito? … e quanta gente
c’era alla Plaza de Toros? … e come si muoveva il Toro? … e come si
muoveva il Torero? … e…> prese insistentemente a domandare a raffica
l’entusiasta Manolete e allo sbigottito Cuervo non rimase altro da fare
che interromperlo.
<Eeeeeee! E se mi lasciassi il tempo di darti almeno una
risposta, ingordo che non sei altro. Cosa sarà mai questa Corrida, un
Toro babbeo che corre dietro a un cencio rosso. Puah! Quella che
facciamo noi sì che è vita ragazzi! Volare, correre e farla in barba ai
contadini, cosa c’è di più divertente di questo? Non è vero Zorro?>
<Beh a dire il vero anche a me piace un sacco tutto questo,
però la Corrida io non l’ho mai vista e anche se non mi fido degli
uomini… se Manolete ci tiene così tanto… e poi gli avevamo promesso di
aiutarlo per ringraziarlo di tutto quello che ha fatto e fa per noi. Lo
sai che mi ha fatto arrivare dentro la fattoria ed ho perfino dormito
con le galline, oh senza mangiarne nemmeno una eh!>
<Si, la Corrida è troppo importante per me, mio padre Felipe,
non fa altro che parlarmene ed io vorrei proprio farne almeno una, tanto
per provare. Se poi mi piace ne posso fare anche altre e se non mi
dovesse piacere vuol dire che ne faccio una sola> povero ignaro
Manolete non sapeva che tutti i Tori di Corride ne fanno una sola <E
voi non dovete ringraziarmi di nulla è stato troppo divertente vederti
nel pollaio con le galline Zorro. Quando poi la chioccia si è messa a
covare sopra di te scambiandoti per il suo nido è stato davvero uno
spasso muuuuuu, muuuuuu, muuuuuu.> rideva soddisfatto <Come quella
volta che Cuervo si è messo a fare chicchirichì alla tre di notte ed è
riuscito a svegliare tutti, se non c’ero io a distrarre Juanito, andava a
finire che spara spara, ti beccava ed ora eri attaccato alla parete nel
salotto buono! Muuuuuu, muuuuuu, muuuuuu> continuava a ridere. E
insieme a lui si misero a ridere anche gli altri ricominciando a
raccontare sTorielle ancora più incredibili e bizzare di quelle di
prima.
In ogni caso se
Manolete voleva partecipare alla Corrida, Cuervo lo avrebbe aiutato a
farlo nel migliore dei modi. Non sarebbe certo riuscito a insegnargli a
volare, chi avrebbe mai alzato da terra quell'enorme Torello che ormai
aveva passato abbondantemente i trecento chili e se ne stava andando
tranquillamente verso i quattrocento. Era però sicuro che gli avrebbe
insegnato la grazia, innata in ogni uccello, tanta quanto sarebbe stato
sufficiente a far sì che sembrasse davvero che Manolete stesse volando
sulla terra battuta dell'Arena. Dal canto suo Zorro aveva da offrirgli
tutta l’astuzia che unita ai movimenti lo avrebbero reso il più forte
Toro da Corrida. Con questi proponimenti e un immensa voglia di fare i
tre unirono così ai diletti quotidiani, alle marachelle e alle pigre
sieste a pancia piena, anche un doveroso allenamento composto da scatti,
piroette e salti per passare poi alla teoria dell’aggiramento di cui
Zorro era un gran maestro indiscusso.
Manolete continuva a crescere e continuava ad allontanarsi sempre
più dalle sicure mammelle della mamma. Carmen però non smetteva mai di
tenerlo d’occhio, all'inizio né lei né Felipe avevano gradito le sue
nuove amicizie, ma dopo aver verificato le reali buone intenzioni di
Cuervo e Zorro, grazie anche agli ilari racconti del torellino, avevano
dato il loro benestare alla creazione di quel singolare, buffo e
inaspettato trio. Dopo averli visti rincorrere le galline, con Juanito
dietro di loro a gridare a squarciagola, con una bottiglia in una mano e
il forcone nell’altra, non era stato poi così difficile immaginarseli
tutti e tre intenti a sbucciare aranci sulle colline di Belmonte.
Saperli felici, allegri e birbanti ma non troppo, non poteva che rendere
ancor più accettabile questa nuova e stramba amicizia di Manolete.
Gioviale e giocherellone com'era trovava sempre il tempo di stare con
gli amici e di vivere comunque anche la normale routine delle vita di
stalla, tra vacche, vitelli e Tori. Ma Zorro e Cuervo erano per lui due
compagni insuperabili e due maestri incomparabili.
E Manolete cresceva, aveva già messo su un bel paio di corna
bianche, lucenti e appuntite e il suo mantello nero si era fatto ancora
più lucido. Con il trascorrere del tempo si delineava sempre più il suo
aspetto da Toro, aveva passato i quattrocento chili e a un anno di età
aveva ormai abbandonato le mammelle della mamma, anche se non si sarebbe
mai allontanato da lei ne dal padre, che lo avevano cresciuto forte e
sereno e che continuavano ad essere la sua guida e il suo rifugio. Ormai
erano sempre più rari i momenti degli scherzi e delle scorribande con
Zorro e Cuervo ma la loro amicizia si era consolidata a tal punto che i
compagni erano ormai divenuti di casa alla fattoria ed erano entrati in
confidenza con tutti i suoi abitanti, eccezion fatta naturalmente di
Juanito, Don Gonzalo e tutta la sua famiglia. Più di una volta durante i
temporali di quell'inverno avevano trovato riparo tutti insieme tra il
tepore della paglia. A notte fonda era stato davvero buffo vedere una
volpe dormire con la coda arrotolata intorno al collo di un oca o un
corvo che con le proprie ali riscaldava una famigliola di topi di
campagna, mentre tutti si stringevano intorno al caldo fiato delle
mucche per la gioia di Manolete e dei suoi strambi compari; il Trio.
Così li chiamavano alla fattoria e da Trio ripresero gli allenamenti
sotto il frizzante sole della primavera che avanzava di gran carriera
tra fioriture e cinguettii. Intanto Carmen aspettava una sorellina per
Manolete e la vita aveva ricominciato a pulsare.
Adesso non si scherzava più, gli allenamenti sarebbero stati più
duri e più concreti ma non mancava mai la tremenda ilarità che li
accompagnava e li contraddistingueva, per questo ogni giornata di fatica
finiva sempre con la presa in giro di qualcuno o con uno scherzo ben
giocato e Carmen e Felipe gioivano nel vederlo diventare adulto così.
Manolete aveva ormai diciotto mesi e i suoi quasi cinquescento
chili di peso lo rendevano l’orgoglio del suo padrone. Sarebbe stato il
degno erede di Felipe, avrebbe vinto e stravinto alle sagre e alle feste
e nei campionati avrebbe conquistato quei primi premi che non erano
stati di suo padre. Tutto questo se mai vi avesse partecipato, eh sì,
perché Manolete aveva altri traguardi da raggiungere e avrebbe
cominciato a prepararsi seriamente da quel momento in poi, che lo avesse
voluto o meno. Rodrigo de la Hacienda era tornato alla fattoria, da
solo questa volta, non aveva portato il figlio ad accarezzare Manolete.
Solo lui aveva passato la sua mano avida e sudaticcia sul manto
vellutato del gigantesco vitello, lasciandogli ancora una volta addosso
quella sgradevole sensazione, come se gli avessero trafitto la pelle con
un rampino. No, decisamente quel tipo non gli stava simpatico.
Naturalmente risultò antipatico anche a Zorro, che pensò bene di
rosicchiargli una ruota posteriore fino quasi a strappargli via il
battistrada e a Cuervo che invece mitragliò con il suo di dietro la
capote della spider con cui si era presentato alla fattoria, adesso
dall’alto sembrava un enorme mucca pezzata, una vera spider mimetica!
Rodrigo e Gonzalo
discussero a lungo quel giorno, erano tanti i Tori che l’allevatore
aveva venduto al fratello ma quella volta aveva una strana sensazione.
C’era qualcosa che cercava di impedirgli di vendere Manolete a Rodrigo
per farne un Toro Bravo, una nuova vittima per le fauci dell’Arena. Ma
quel qualcosa non fu abbastanza forte da proteggere Manolete. Magari
Gonzalo aveva anche il cuore d’oro, ma i biglietti da cinquecento euro
che Rodrigo gli fece vedere brillavano di più. Aveva le rate del
trattore nuovo da onorare, il mangime da pagare e si era messo all’anima
anche un podere di aranci in società con il vicino. Sarebbe stato un
grande affare, ma per il momento c’era bisogno di investire e parecchio.
Poi tra qualche anno avrebbe goduto dei suoi frutti e non solo degli
aranci! Ma per adesso… Quella stretta di mano fra Rodrigo e Gonzalo
cambiò molte cose, non più corse con Zorro e Cuervo per campi e prati,
non più solo teoria, adesso avrebbe assaggiato la polvere dell'Arena.
Presto il suo nero mantello e le sue corna aguzze sarebbero finalmente
entrate in una Plaza de Toros e avrebbe potuto cominciare a correr
dietro a quel meraviglioso e imprendibile panno rosso che lo avrebbe
portato fino alla gloria. In realtà l’avrebbe potuto portare fino alla
morte ma questo è ancora tutto da vedere.
Manolete salutò ad uno ad uno tutti gli animali della fattoria,
cari amici di vita che fino a quel momento erano stati la sua grande
famiglia e alla fine fu davvero difficile staccarlo dai suoi geniTori.
Felipe non stava più nella pelle, da una parte la gioia lo esaltava;
finalmente Manolete coronava tutti i suoi desideri, la fama, la gloria,
la Corrida. Da l’altra, come ogni padre avrebbe voluto restare accanto
lui, assisterlo, confortarlo e continuare a giocarci insieme e ad amarlo
da vicino. E, perché no, continuare anche quella vita di campagna,
senza Corrida ma tutti assieme per sempre. Carmen invece era in una
valle di lacrime, per lei l’unica cosa che contava era il fatto che il
suo cucciolo, quello che per sempre avrebbe ricordato come il vitellino
attaccato alle sue mammelle, se ne stava andando via. Non era un
scorribanda con quelle pesti di Cuervo e Zorro, non era una corsa
all’aranceto, era un distacco tremendo che veniva mitigato solo
dall’arrivo della piccola Sofia. Non si risparmiarono i pianti, i
singhiozzi e gli infiniti muso a muso, fino a che Juanito non venne a
prenderselo. Fu l’ultima volta che lo videro. Ma ne sentirono parlare
ancora. Eccome se ne sentirono parlare!
L'allevatore lo caricò sul suo camion scalcinato, lo legò ben
stretto perché non rischiasse di cadere e partì diretto verso Guadalest a
trecento chilometri di distanza sui monti a due passi dal mare di
Benidorm. Dalla fattoria si levò un coro disperato. All’unisono tutte le
bestiole salutavano languidamente Manolete che con eccitazione,
entusiasmo e tanta tristezza nel cuore lasciava la sua casa natia. Nel
frattempo, da bravi briganti quali erano, Zorro e Cuervo si erano
intrufolati nel camioncino di Juanito ed agitando l’uno la coda e
l’altro le ali, davano a loro modo l’addio alla fattoria. Senza
melanconia e senza rimpianti, per due vagabondi come loro casa era
ovunque ci fosse da fare scorribande, giocare e farsi delle belle
scorpacciate. Per loro questa era soltanto una nuova elettrizzante
avventura, si sentivano il primo corvo e la prima volpe che avrebbero
toreato in un Arena.
Se ne andarono, su quel carretto a motore che non riusciva a non
dondolare nemmeno quando la strada era piana e diritta. Siccome invece
si fecero la Carrettera 301 fino ad Albacete e poi la 430 fino alla
Sierra del Carrascal per attraversare la quale c’erano solo strade di
montagna, il viaggio si rivelò una vera e propri tortura. Manolete e
Zorro vomitarono tutto quello che avevano mangiato prima di partire, si
salvò solo Cuervo che ogni tanto poteva approfittare delle ali per
abbandonare quell’insicuro e nauseabondo mezzo di trasporto.
<Muuuuuuuuu, muuuuu, ohi ohi ohi. Se passo questo, la Corrida sarà una passeggiata…> si lamentava Manolete
<Come vorrei tanto fare una passeggiata. Dov’è quel corvaccio,
lui vola, vola e se ne va e noi qui tapini a soffrire. Vieni giù brutta
bestiaccia, stai un po’ qui con noi a soffrire, lui vola, vola, vola
lui, vieni un po’ qui e poi vediamo se ti riesce ancora volare dopo che
ti ho dato una ripassata io. Ohi ohi ohi… > gli faceva da coro Zorro,
e Cuervo se la spassava.
<Sì, vedo il mare, forse ci siamo, su resistete, resistete,
altre due o trecento curve e siamo arrivati. Corrida, Corrida, andiamo
alla Corrida, mmhhhmm … ve la sentite di fare una Corrida appena
arrivati? O sarà meglio che la Muleta ve la stenda pietosamente sui
poveri resti che arriveranno a Guadalest. Craaa craaa craaaaa che pazze
risate ragazzi, vedeste come siete buffi…> lui se la spassava e gli
altri due erano distesi agonizzanti sul fondo del camioncino che
arrancava sbuffando verso la sua ancora lontana destinazione.
<Divertiti?
Divertiti è dire poco ci siamo straultrasuperdivertiti è stata
l’esperienza più folle e inaspettata di tutta la mia vita, ha ha ha che
risate. Mi son trovato il muro ad un pelo dal naso ah ah ah e poi
swissshhh ho volato per tutta la fattoria, che meraviglia ah ah ah…>
<…e poi siamo entrati qui dentro come missili ed io ridevo
talmente che non ce l’ho fatta più a tenere Zorro. L’ho mollato e cra
cra cra sono scoppiato dalle risate. Siiii, l’abbiamo fatta in barba a
tutte quelle guardie a quattro zampe, cra cra cra, sono ancora lì col
muso in aria a cercare la volpe volante cra cra cra. Signore e signori
la grande attrazione, la volpe Zorro che vola nella notte cra cra cra…
venite, venite, uomini, donne e bambini venite, venite a vedere cra cra
cra…>
<Anch’io quando vi ho visto precipitarvi qui dentro non avevo
capito cosa stava succedendo, muuu muuu muuu, la prima cosa che ho
pensato è a un cane che vola muuu muuu muuu…>
<Sì un cane che vola cra cra cra…>
<Hei! Io non sono un cane! Ah ah ah, sono Zorro la volpe volante ah ah ah…>
Quella notte nessuno dei tre avrebbe chiuso occhio. Trascorsero
ore e ore a ricostruire i fatti della serata aggiungendo ogni volta
nuove, esorbitanti e improbabili peripezie all’impresa compiuta. Quando
il sole fece capolino i tre erano ancora a ridere e raccontare. Erano
andati talmente oltre che a quel punto sembrava che Zorro e Cuervo
fossero partiti in volo direttamente da Las Pedroñeras e che Zorro fosse
atterrato sul fieno scivolando direttamente in bocca a Manolete il
quale lo aveva risputato fuori con un cappellino di paglia in testa. I
soliti amici sbruffoni, sbruffoni e divertenti, veri amici. Di nuovo
insieme. Attenzione fattoria, il Trio sta per combinare guai! E quanti
ne combinarono in quei giorni facendo impazzire gli uomini di giorno e i
cani di notte, tutti a dar la caccia a questo enorme essere volante con
le grandi ali nere e la coda fulva. E il Trio a ridere a crepapelle al
sicuro nella stalla. Fino a quando non arrivò il gran momento e Manolete
poté finalmente uscire per dedicarsi di nuovo, insieme agli
inseparabili maestri, alla sua grande passione, la Corrida.
Quella mattina Rodrigo de La Hacienda fece visita alla stalla, era
la terza volta che Manolete lo vedeva e avrebbe avuto a che fare con
lui ancora una volta, purtroppo. Smilzo e lugubre com’era apparve come
un filo di fumo nel riquadro luminoso del portone, con la luce che
improvvisa e abbondante accecò gli occhi del Toro. Da troppo tempo era
rinchiuso tra quelle quattro pareti, troppo strette per tutta la sua
potenza soffocata dall’inerzia. Manolete non sapeva che il riposo
forzato a cui era stato sottoposto, era voluto. Tutti quei giorni di
tranquillità avevano rammollito i suoi muscoli, il fieno e le carote lo
avevano ingrassato e appesantito e quando più tardi sarebbe uscito,
buona parte della sua agilità l’avrebbe lasciata nella stalla. Quel
giorno l’aspettava una prova importante e Rodrigo non avrebbe rischiato
che quel Toro gigantesco facesse fuori un paio dei suoi provetti Toreri,
buoni solo a scappare davanti a delle corna grosse come quelle di
Manolete. Se fosse stato in forma sarebbe stato in grado di saltare la
Barrera, la Talanquera e arrivare di corsa fino a Benidorm. Nelle
condizioni in cui quei giorni di rilassamento l’avevano ridotto invece,
non sarebbe mai riuscito ad avvicinarsi a nessun Torero e la
ristrettezza della sua dimora l’avrebbe disorientato quando si fosse
trovato nello spazio aperto dell’Arena. Tutta quella vastità l’avrebbe
come soffocato. Trucchi, nient’altro che subdoli trucchi da Corrida.
Quando qualche anno dopo Manolete si fosse trovato nel Chiquero, avrebbe
ritrovato e rivissuto quella buia segregazione ma neanche allora
avrebbe mai potuto immaginare quello che stava per accadere.
Accanto alla sagoma filiforme di Rodrigo ne apparve un’altra alta
la metà e altrettanto magra. Manolete pensò subito a Manolo, il figlio
di Rodrigo che più volte era andato a trovarlo quando era nella fattoria
di Las Pedroñeras e a dire il vero non gli sarebbe per niente
dispiaciuto farsi accarezzare dalle manine soffici e dolci di quel
bambino. I suoi sogni beati però furono subito interrotti dall’avanzare
delle due indistinte figure. Di fianco a Rodrigo c’era un ometto anziano
un po’ ingobbito dall’età e anche per questo alto proprio come un
bambino ma pieno di rughe dappertutto. Sul viso, sulle mani e ovunque ci
fosse una piega da fare nella pelle. Si chiamava Ruben, era un
allenatore di Tori da Corrida, dirigeva la piccola Arena di Rodrigo
allenando Novilleros, Banderilleros e Tori destinati al combattimento.
Aveva un esperienza nel campo che si poteva contare sulle sue rughe, gli
bastava uno sguardo per capire se i tanti ragazzotti che facevano la
fila davanti all’Arena per diventare Toreri, sarebbero stati in grado di
rimanere in piedi davanti ad un Toro vero. Non aveva mai toreato, non
aveva mai ucciso un Toro, ma in pratica era cresciuto dentro alla Plaza
de Toros, tra Matadores, Banderilleros e Tori. Da qualche anno entrava
nell’Arena solo durante le Tienta, che in realtà non gli servivano per
verificare né le capacità dei Toreri né la capacità dei Tori, ma
piuttosto per dimostrare che quello che lui aveva intuito guardando un
ragazzo od un Toro dritto negli occhi corrispondeva alla verità. Era un
mago nel suo mestiere ed era stimato, rispettato e ricercato da tutti
nell’ambiente.
Rodrigo entrò, si
appoggiò al muro scortecciato con le braccia conserte ed un sorriso da
saputello disegnato sulla faccia, pronto a godersi al scena. Manolete fu
contento che non si fosse avvicinato magari pure per toccarlo, non
aveva nessuna intenzione di provare di nuovo la spiacevole sensazione
che aveva attraversato la sua pelle al loro primo contatto. Solo Ruben
si fece avanti, quell’esile fuscello d’uomo quasi scompariva davanti
alla maestosità di Manolete, che aveva ormai abbondantemente
oltrepassato i cinquecento chili. Si avvicinò senza timore e Manolete
non sentì alcuna ostilità provenire da lui. Ruben gli carezzò la
schiena, il ventre e poi ancora il collo e la fronte. Si fermò a
guardarlo negli occhi e fu, per entrambi, una meravigliosa esperienza.
Manoletè riuscì a sentire l’amore che quell’uomo aveva per gli animali e
il calore che gli trasmetteva il contatto delle sue ruvide e callose
mani, lo fece sentire in un certo senso, al sicuro, anche se in realtà
non lo era per niente.
<Questo é Manolete> sentenziò Rodrigo lasciando ampiamente
trasparire l’orgoglio che essere il padrone di una bestia imponente così
gli faceva provare.
<Ed ha solo diciotto mesi?>
<Incredibile vero? Devo dire che sono stato molto fortunato.
L’ho trovato per caso nell’azienducola di mio fratello. Quell’impiastro
quasi non me lo voleva vendere, ci si era affezionato ma quando gli ho
sventolato i soldi sotto il naso non ha potuto resistere. Gli ho
lasciato la fattoria dei nostri geniTori e lui la conduce ancora come
facevano i nostri nonni, è tutta una rimessa. Bah, io ci guadagnerò
cento volte di più di quanto ho dato a lui. Le migliori Plazas de Toros
faranno di tutto pur di accaparrarsi un occasione così ma questo Toro è
destinato a Madrid, lo vedranno a Las Ventas e se ne ricorderanno per un
bel pezzo. Ed io ci guadagnerò un sacco di soldi e di fama, dopo
Manolete verranno tutti da ma a cercare i migliori Tori da Corrida>
<È maestoso, non aveva mai visto niente di simile prima d’ora e tu sai quanti…>
<Sì, sì, lo so quanti ma dimmi di questo>
<Non esiste una spada capace di arrivare fino al cuore di una bestia così, sarà una tortura inutile…>
<Quanto durerà?> chiese con l’entusiasmo che cresceva ad ogni parola che udiva
<Con un animale come Manolete se non raddoppiano i Picadores e i
Banderilleros ci vorranno due Toreri perché uno da solo non potrà
durare abbastanza…>
<Sì! Proprio quello che volevo sentirmi dire>
<Aspetta Rodrigo questo animale è capace di andare avanti più di un ora…>
<Meglio di quanto mi aspettassi>
<Io non credo…>
<Io sì! Al lavoro Ruben portiamolo nell’Arena e mettiamolo bene
in mostra, abbiamo due anni e mezzo per far fruttare questo
investimento, dobbiamo farlo rendere al massimo> sedato l’entusiasmo
torno ad essere il freddo padrone di pochi minuti prima <La Tienta di
oggi è troppo importante e niente deve andare storto, dì ai tuoi
Novilleros che non si facciano infilare alla prima incornata, abbiamo
bisogno di pubblicità ma non di questo tipo, la nostra pubblicità
saranno le ooooo di meraviglia che si diffonderanno per la Spagna da
stasera>
Ruben accompagnò Manolete nell’Arena, lo portò fino al centro,
intorno a loro una ventina di Novilleros tremanti erano pronti a dare
l’assalto al Toro e Manolete era pronto a danzare con loro. Non c’erano
Picas, Banderillas, o Spade quel giorno e Manolete avrebbe davvero
potuto danzare la sua Corrida, quella vera non sarebbe stata così
piacevole.
<Va> gli disse Ruben dandogli una fraterna pacca su un
fianco <fagli vedere di chi sei figlio Manolete, fagli vedere come
sarebbe stato tuo padre se avesse potuto correre dietro alla Muleta,
corri Manolete, corri e spaventali tutti!> dopodichè se ne uscì mesto
dall’Arena e andò a casa, Rodrigo non se ne accorse nemmeno.
Quella sera tornando a casa Ruben sentì forte la sensazione di
aver compiuto qualcosa di sbagliato, troppi Tori aveva mandato al
sacrificio dell’Arena e forse si sarebbe dovuto fermare prima. Anche se
erano parecchi anni che non assisteva più ad una Corrida, gli parve che
tutto il sangue che in gioventù aveva visto mescolarsi alla sabbia
dell’Arena, gli attraversasse la strada sfiorandogli i piedi. Manolete
gli aveva comunicato qualcosa che non aveva mai sentito prima, gli era
parso che quell’animale fosse in qualche modo consapevole di quello che
stava accadendo, che fosse pronto e preparato intimamente proprio per
quello, Toreare nell’Arena. Solo che lui non era un Torero ma un Toro e
pareva che non si rendesse conto di cosa volesse dire questa sottile
differenza. Quell’animale aveva uno spirito e quello spirito non
meritava di morire nella Plaza de Toros. Ruben non entrò più nell’Arena
di Rodrigo, né in nessun’altra. Se ne andò lontano nelle campagne vicino
a La Coruña, comprò un Toro vecchio quasi quanto lui e destinato al
macello, lo chiamò Manolete e condivise con lui i suoi ultimi anni,
finalmente lontani dal sangue e dall’Arena. In un certo senso fu la
prima vittima di Manolete, ma non l’ultima.
Rodrigo era seduto
sugli spalti più alti della piccola Arena e gongolava pregustando il
successo che di lì a poco lo avrebbe travolto, portandogli la fama ma
soprattutto la ricchezza. Da lassù si sarebbe goduto tutta la scena.
Prima tutti lo avrebbero preso in giro, perché nessuno avrebbe creduto
che quello fosse un vitello di diciotto mesi. Poi, quando avessero
capito che non era uno scherzo e che quello era realmente Manolete
figlio di Felipe, sarebbero rimasti tutti a bocca aperta. Avrebbero
guardato il Toro, lo avrebbero ammirato, poi avrebbero guardato lui, poi
di nuovo il Toro, poi ancora lui e tutti lo avrebbero invidiato. Dopo
un po' di apparizioni nell'Arena sicuramente si sarebbe sparsa la voce e
qualcuno di lontano sarebbe sicuramente arrivato, lo avrebbero
avvicinato offrendogli del denaro per portarsi via Manolete ma lui
avrebbe rifiutato. Il Torero che avesse sconfitto il suo Toro avrebbe
sicuramente guadagnato in fama e denaro, tutti lo avrebbero voluto. E
lui avrebbe tenuto duro fino a che non fosse arrivato qualcuno di
veramente importante, fino a che non avessero capito che un Corrida
contro Manolete sarebbe stata un'impresa di titani e gli avessero
offerto una montagna di euro. E lui non sarebbe certo mancato a quella
Corrida, se la sarebbe gustata mille volte più di quella Tienta, anzi un
milione. Il suo allevamento ne avrebbe avuta la giusta ricompensa e il
suo Felipe oltre che a vincere secondi premi in qua e in là per il
mondo, gli avrebbe scodellato altri quattro o cinque Tori che i
commercianti avrebbero pagato profumatamente prima ancora della loro
nascita e che lui invece avrebbe acquistato per due euro dal quel tonto
di suo fratello. Manolete sarebbe stata la sua miglior pubblicità e
avrebbe portato il suo allevamento ad essere il più importante della
Spagna e per lui finalmente gloria e denaro, montagne di denaro,
Manolete era la sua miniera d'oro.
E infatti, andò tutto come Rodrigo aveva previsto, le derisioni si
fecero subito sentire ma l’ultimo a ridere sarebbe stato solo lui.
<Non è un po' grande per la Tienta in quest'Arena?> esclamò
uno dei tanti curiosi e interessati che giravano quotidianamente lì
intorno in attesa della buona occasione, di un soffiata, di un
informazione da passare a qualcuno di importante che avrebbe dato loro
la giusta mancia
<Hei Rodrigo, che sorpresa ci hai fatto oggi? Questo Toro li ha
già compiuti quattro anni e se non è già stato matato e segno che non è
buono per l'Arena! Ah ah ah!> rideva un altro e intorno rispose una
risata generale, mentre Manolete si avviava al centro dell’Arena
accompagnato da Ruben
<Hei burlone, questo bestione non arriva a fare un solo giro
tra la polvere che lo hanno gia riempito di Banderillas, dove lo vuoi
portare a Madrid o al mattatoio ah ah ah ah!> lo canzonava un altro
ancora ma Rodrigo li zittì tutti quanti. Si alzò dal suo scranno
dominando l’intera platea che orlava l’Arena, tirò fuori di tasca il
certificato di nascita di Manolete e cominciò a sentenziare, quasi come
se fosse il Papa alla finestra o come se fosse Thomas Jefferson alla
dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti. O meglio, da vero
sbruffone quale in realtà era, con il suo odioso ghigno stampato in
faccia e l’aria da campione mondiale dei presuntuosi.
<Manolete ha diciotto mesi. Quando avrà quattro anni non potrà
nemmeno entrare in quest’Arena, dovremmo allargare la porta per farlo
arrivare in questa landa polverosa. Quando Manolete avrà quattro anni
sarà davvero a Madrid e quella sarà una Corrida che passerà alla sToria,
una Corrida a cui nessuno di voi vorrebbe mai mancare. Avanti stolti e
increduli, cominciate a far arrivare alle mie orecchie frasi con un po’
di senso, frasi con in mezzo la parola euro, migliaia di euro,
milioni!> li incalzò Rodrigo
<Quel bestione ha solo diciotto mesi? Ma chi vuoi prendere in
giro!> fu invece la prima reazione degli intervenuti alla Tienta
<Manolete è nato un anno e mezzo fa da Carmen….. e Felipe>
al suono di questo nome si sentì un mormorio sommesso attraversare la
platea e di questo a dire il vero ne fu contento anche lo stesso
Manolete, sempre ignaro di ciò che accadeva intorno a lui ma che sentì
l’ammirazione di quegli uomini per il suo grande padre Felipe, gran Toro
anche se non aveva potuto danzare la sua Corrida <puoi andare a
leggerti il registro se vuoi, intanto qui nelle mie mani ho il suo
certificato di nascita e tutte le garanzie che voi increduli avrete
bisogno di toccare con le vostre di mani> mentre l'orgoglio
cominciava a sudargli fuori da tutti i pori, le sue parole cominciavano
ad avere effetto. Tutti quelli che un attimo prima l’avevano deriso
adesso scherzavano con lui sperando di rientrare velocemente nelle sue
grazie e partecipare alla raccolta di quella pioggia di euro di cui
Rodrigo continuava a parlare.
<Se è così allora quando andrà a Toreare ci vorranno due
Matador, uno sopra l'altro, per riuscire ad averla vinta con lui! Ah ah
ah!> e tutti dietro a ridere per non passare male
<Si ci vorrà una Capa grande come un lenzuolo! Ah ah ah!> e tutti a ridere
<Ci vorrà una Muleta retta da una traversina del treno e questo
magari ci sbufferà sopra! Ah ah ah!> e giù tutti contenti a ridere,
ormai di nuovo tutti compari, sempre pronti però a colpirsi alle spalle
alla prossima occasione.
A sentirsi elogiare in
quel modo Manolete volò al settimo cielo. Compiacendosi, nella pioggia
di complimenti che gli scrosciava addosso, trotterellava impettito per
farsi ancor meglio ammirare da i suoi spettaTori. Tra le risate generali
e le considerazioni sulla prestanza fisica di quel gigantesco quasi
Toro o poco più che vitello, Manolete cominciò a rincorrere la
mantiglia, tra la polvere e le grida della gente. La sua prima Corrida
finalmente, adesso avrebbe danzato sul serio.
Cuervo e Zorro approfittarono del trambusto che si era creato dopo
l’ingresso di Manolete. Visto che anche i cani erano stati distratti
dal gran vociare degli uomini, riuscirono facilmente ad intrufolarsi
nell’Arena, passando dalle stalle più lontane alle gradinate. Cuervo si
era comodamente appollaiato su di un tettuccio malmesso che pretendeva
di proteggere dal sole gli spettaTori senza tanto successo. Zorro invece
era riuscito a guadagnare a fatica quella posizione, al sicuro da
sguardi che non gli avrebbero risparmiato un colpo di schioppo se si
fossero accorti di lui. Le volpi d'altronde non sono delle grandi
arrampicatrici e con tutto il tempo che gli fu necessario, balzellon
balzelloni, riuscì fra un mattone sconnesso e una trave sporgente ad
arrivare fino in cima.
<Beh! Vediamo un po’ che cos’è questa famosa Corrida> esordì
Cuervo sistemandosi comodo per assistere allo spettacolo <Manolete
ci ha fatto una testa così> disse spalancando le ali <che anch’io
morivo dalla voglia di vederla>
<No no, moriamo tutti e due se qualcuno si accorge che ci
siamo> gli rispose sarcastico Zorro, muovendosi con circospezione su
quello scalcinato solaio e temendo da un momento all’altro, di
sprofondare sulla testa di qualche ignaro spettatore che si sarebbe
ritrovato il collo di pelliccia in piena estate
<Oh, noto con piacere che ci degni della tua presenza>
<Spiritoso. Ah, ah e ah>
<Permaloso. Uh, uh e uh>
<Dopo che avremo finito di insegnare a Toreare Manolete, voglio
proprio vedere se sarete capaci di insegnare a me… A VOLARE!>
riprese indispettito Zorro
<Volanti si nasce caro mio ed io modestamente volai. Ma se vuoi
ti do un’altra lezione come quando siamo entrati nella stalla. Ah ah
ah! Chissà come sarebbe volare insieme sull’Arena adesso, altro che
Manolete rimarrebbero tutti sbigottiti a guardare noi! Ah ah ah!>
evidenziò Cuervo sganasciandosi dalle risate
<Sì, me le immagino tutte quelle bocche aperte, una meraviglia
dietro l’altra. Benvenuti signore e signori ecco a voi le meraviglie
della natura: Manolete il Toro più grande del mondo e Cuervorro la volpe
volante. I bambini entrano gratis! Ah ah ah!> continuò il suo degno
compare saltellando dalla risate.
Di nuovo amici, di nuovo inseparabili sbruffoni.
<Ehi aspetta, zitto. Smetti di ridere ti si arruffa la coda.
Guarda che stanno cominciando, ecco, ecco Manolete che entra, com’e
enorme>
<Mi sembra un po’ impacciato>
<È la prima volta stolto, com’è stato acchiappare la tua prima gallina? Facile?>
<Apposta sono diventato vegetariano! Zitto ecco il Torero, no
sono due, anzi tre. Ehi così non vale tre contro uno. Dai Manolete fatti
valere, fagliela vedere a questi. Tre contro uno … ma così non vale>
<Una bella coppia di stupidi impagliati, ecco cosa diventiamo
fra due minuti se non chiudi quella boccaccia, per fortuna qui urlano
tutti altrimenti ci avrebbero già scoperto. Dai mettiti calmo e
godiamoci lo spettacolo. Manolete sa il fatto suo. Ci penserà lui a
sistemarli>
Manolete invece era allo sbaraglio. La pacca di Ruben gli aveva
regalato un gran coraggio ma adesso non sapeva davvero cosa fare. Con
chi doveva danzare? Il padrone lo aveva lanciato nel bel mezzo
dell'Arena senza dargli alcuna indicazione. Non solo non sapeva come
muoversi, come avviare quei passi di danza di cui aveva tanto sentito
parlare da suo padre e che aveva tanto desiderato imparare, ma non
sapeva proprio cosa avrebbe dovuto fare. Credevano forse che fosse così
facile muoversi nell’Arena? Nessuno gli aveva detto niente!
E infatti non fu necessario, tutto arrivò naturale come non si sarebbe mai immaginato.
Improvvisamente da dietro dei pannelli di legno incominciarono ad
apparire degli uomini che portavano in braccio chi dei panni color rosa e
giallo, le Capa, chi dei bastoni lunghi di legno, inoffensive Pica
senza lama, chi delle corde e via via che entravano nell'Arena gli si
facevano sempre più vicini con fare guardingo e con modi molto molto
diffidenti. A Manolete pareva tutto molto strano e sembrava proprio che
quegli strani tipi avessero paura di lui. E cosa mai poteva far loro di
male il povero Manolete, lui voleva solo giocare e imparare l'arte della
danza della Corrida. Loro poi erano così tanti che non avrebbe proprio
saputo come poterli spaventare tutti quanti. Per un po’ rimase fermo nel
bel mezzo dell'Arena, gli uomini continuavano ad avvicinarsi a turno e a
punzecchiarlo con grida, con le movenze dei mantelli e con i lunghi
bastoni con cui potevano toccarlo stando a debita distanza. L’istinto
infine venne in suo soccorso e Manolete improvvisamente capì. Ecco in
cosa consisteva il gioco, quei buffi omini intorno a lui cercavano di
attirare la sua attenzione, probabilmente per farsi rincorrere e dare in
questo modo l’avvio alla danza. Loro sarebbero scappati e lui gli
sarebbe corso dietro, poi piano piano avrebbe sicuramente capito quello
che c’era da fare. Mah, sembrava tutto così semplice, in fondo sarebbe
bastato che glielo avessero spiegato, avrebbero sicuramente risparmiato
tempo e lui avrebbe perfezionato prima la sua tecnica. Mah! Gli uomini,
che strane bestie!
<Oh sì, sì! La
prossima volta voglio sbellicarmi dalle risate più di quanto abbia fatto
durante questa Corrida. Anche io li osserverò, volerò sopra l’Arena,
studierò i loro movimenti e poi te li farò imparare come li imparerebbe
un uccello. Così che tu possa essere leggero più di loro. Non vedranno
nemmeno i tuoi zoccoli toccare la sabbia, vedranno solo un enorme Toro
aleggiare nell’Arena, sarai il loro fantasma ed avranno un sacco di
paura! Crah crah crah crah crah! La prossima volta che assaporeremo la
sabbia dorata dell'Arena il tuo socio, come lo chiami tu, non avrà
parole a sufficienza per elogiarti davanti a chi ti vuole in una vera
Plaza de Toros. Vedremo i suoi occhi girare vorticosamente come un
registratore di cassa, ding ding, ding, tanti soldoni entreranno nelle
sue tasche e per te ci sarà gloria immensa, fama infinita. Fama e avena!
Crah crah crah crah crah!>
<Sì sarà proprio uno spasso allenarmi con voi, lasceremo tutti
di stucco. Sì, sì, sììììì! Amici alla Corrida amici per la vita!>
<Amici alla Corrida amici per la vita!> esclamarono tutti e tre insieme.
E ripresero a parlare di quello che era accaduto nell’Arena
rivivendo ancora una volta e poi ancora e poi ancora ogni singolo attimo
di quella meravigliosa giornata, fino a che a notte fonda si
addormentarono tutti e tre sognando Manolete che danzava fra Capas e
Muletas, fra bastoni e Novilleros, fra corde e Toreri. Dormirono placidi
e beati tutta la notte continuando a rivivere quel giorno, sognando la
prossima Corrida e sognando Madrid.
Dopo quella prima Tienta le giornate ripresero il tranquillo
andamento tipico di ogni placida fattoria. Il risveglio nella stalla, il
foraggio mattutino, condito da quattro chiacchiere fra bovini, prima
che Paco, l’inserviente che accudiva Manolete e gli altri Tori, venisse
ad aprire il cancello per lasciare uscire tutti a cercarsi un po’ di
erba fresca sui colli salmastri della Sierra del Carrascal. Là
finalmente, tra olivi e aranceti, l'appuntamento quotidiano con Zorro e
Cuervo. Una bella sgambata di allenamento dietro alla veloce e
zigzagante coda di Zorro, quattro risate, ricordando la Corrida e le
marachelle che combinavano ogni giorno alla fattoria di Don Gonzalo, poi
un po’ di allenamento alla concentrazione, allo scatto e alla
versatilità dei movimenti. A seguire una scorribanda fra gli aranci, con
tanto di scrollata agli alberi per assaggiarne i frutti, tanto ormai
avevano imparato anche a sbucciarli e poi un po’ di teoria a lezione
dagli esimi professori Zorro e Cuervo. I due acuti osservaTori
riportavano ogni giorno ciò che avevano visto nell’Arena della fattoria e
come per la preparazione di un vero e proprio piano di battaglia,
studiavano accuratamente ogni contromossa. Il giorno seguente la
mettevano addirittura in pratica allenando Manolete, Zorro a fare da
Torero e Cuervo a fare da Capa. Olè, olè, oleeeè!
Tanto per non perdere il vizio e anche perché il riposo e il
divertimento sono un ottimo intermezzo al duro lavoro e allo studio, i
tre amici ogni tanto si facevano prendere dalla marachellite acuta e
andavano in giro a combinare un po’ di guai. Una volta erano perfino
riusciti ad entrare nel recinto di un allevamento di struzzi. Che buffi
quegli uccelli così grandi, più grandi di quanto anche Cuervo ne avesse
mai potuti vedere. Avevano trovato l’allevamento alla fine di un lungo
sentiero che degradava dalla parte della costa, là dove il sapore del
mare arrivava prepotente e salubre. Li avevano scovati durante una delle
loro solite passeggiate pomeridiane che li aveva portati fino ad un
alto recinto di rete. Oltre le maglie metalliche di protezione avevano
visto per la prima volta quegli strani uccelli con il corpo rotondo, le
gambe lunghissime e il collo altrettanto lungo con in cima una testolina
poco più grande di quella di Cuervo, assai più piccolo di loro, che
nulla aveva a che vedere con il resto del corpo. Il corvo si era
intrufolato subito nel recinto creando scompiglio tra gli indisponenti
volatili non volanti, i quali atterriti dal nero e gracchiante invasore,
avevano preso immediatamente a correre all'impazzata scappando da ogni
parte. Quando invece era riuscito ad entrare Zorro, infilandosi in una
piccola apertura fra le maglie della rete, aveva ottenuto il risultato
opposto. Gli struzzi si erano immediatamente messi a rincorrerlo,
incuranti nella maniera più assoluta del corvo impegnato a gracchiare a
squarciagola dietro di loro. Fin qui sarebbe stato tutto ameno e
abbastanza pacifico, tutto avrebbe potuto filare liscio, per modo di
dire certo, se Manolete non avesse preteso di entrare dentro il recinto.
Passare di sopra non era certo possibile, scavare sotto la rete sarebbe
stata un impresa ciclopica capace di sfinire ma più che altro di
annoiare anche lo stesso Manolete. A quel punto non rimaneva che
un’unica soluzione, la più disastrosa chiaramente, la sola che non
doveva assolutamente essere messa in pratica. Quella che praticamente
Manolete attuò. L’incosciente Toro infilò le sue lunghe e aguzze corna
tra le maglie della rete e cominciò a spingere e a tirare, con la sua
immensa forza, fino a che non divelse rete, paletti e recinto intero. Di
fronte a tanto ridicolo sfacelo Zorro e Cuervo presero a sganasciarsi
dalle risate e alla vista di Manolete impigliato e aggrovigliato alla
rete, un tutt'uno con recinto, pali e svolazzanti piume di struzzo non
riuscivano assolutamente a smetterla. Come se non bastasse quanto
accaduto fino a quel momento anche gli struzzi ci misero del loro.
Correndo veloci e sgraziati come solo loro potevano fare, presero a
starnazzare insistentemente allontanandosi per ogni dove. Il gran
starnazzare provocato dagli uccelli impauriti mise in allarme
l'allevatore, un robusto contadinotto completamente immerso nella siesta
giornaliera.
Bruscamente risvegliato
dal gran rumore uscì fuori di casa, imbracciò il fucile e corse verso
il recinto cercando con lo sguardo dove fossero gli uomini che si
immaginava fossero la causa di tanto trambusto, malintenzionati magari
venuti a rubare i suoi struzzi. Giunto dove in teoria doveva esserci il
recinto ma che invece mostrava solo lo sfacelo provocato da Manolete, si
ritrovò davanti agli occhi una volpe con le piume in bocca, un corvo a
pancia all'aria e un Toro con il suo recinto a fargli da mantello.
L’allevatore rimase talmente sbigottito e incredulo davanti a tanta
assurdità che, per fortuna, non fu capace di far partire nemmeno un
colpo dalla sua doppietta e i tre combinaguai fecero in tempo a darsela a
zampe e ali levate. Naturalmente nessuno credette mai al racconto
dell’allevatore, in paese si sparse addirittura la voce che fosse stato
lui stesso a combinare il guaio, una di quelle sere in cui doveva aver
alzato un po’ troppo il gomito.
Chiaramente ogni giorno i tre strani compagni trovavano sempre il
modo di combinarne qualcuna delle loro, ma sul tardo pomeriggio, quando
il sole cominciava a calare e si avvicinava l'ora della Corrida, quando
il disco dorato si adagiava lentamente sulle colline intorno e il calore
cominciava a farsi sentire con minore intensità, in quel momento
Manolete, Zorro e Cuervo non potevano mancare al loro appuntamento più
importante, alla messa in pratica di ogni loro studio e lezione, la loro
Tienta personale. Ovunque fossero, oliveta, campo, strada o sentiero,
alle cinqo del las tardes si Toreava!
<Amici alla Corrida amici per la vita!> esclamavano tutti e tre insieme.
Ogni sera una Tienta. Non era solo un allenamento, non dovevano
fare corse o sollevare pesi, erano delle vere e proprie prove per
l'esibizione che Manolete avrebbe dovuto tenere. Si sarebbe alzato un
immaginario sipario e il Toro avrebbe fatto il suo ingresso nell'Arena
della loro fantasia. Cuervo aveva il duro compito di rendere Manolete
più leggero di quanto fosse, aveva ormai superati i cinqecentocinquanta
chili e da lì al momento della sua esibizione si sarebbe certamente
avvicinato ai seicento, arrivando a dimensioni sopra l'ordinario per un
Toro di quattro. Zorro doveva riuscire a donargli l’acume che gli
avrebbe fatto prevedere ogni mossa del Torero che si sarebbe trovato
dinanzi. Ogni sera una Tienta. Ogni giorno amicizia e allegria.
<Amici alla Corrida amici per la vita!> esclamavano tutti e tre insieme.
Prima di addormentarsi provavano a lasciare da parte Toreri,
Corride e Capas e come tre veri amici fanno, concludevano la faticosa
giornata parlando di loro e del mondo. Ma la passione non dava loro pace
e alla fine, da qualsiasi argomento fossero partiti, si ritrovavano
sempre nell’Arena. Come quella volta che Cuervo se l’era presa perché un
Novilleros, a cui si era avvicinato troppo per studiarne i movimenti,
lo aveva scacciato in malomodo dandogli del “brutto” e del “corvaccio”.
<O sì è facile dire cose tipo "Brutto corvaccio", "Animalaccio
nero" e ingiuriarmi solo per il mio aspetto. Ci sono posti dove sono
amato e rispettato. I miei cugini nella torre di Londra sono temuti e
accuditi. Sono il simbolo di un luogo che è il simbolo di una città
molto importante, la capitale dell'Inghilterra. Nessuno dice loro
"Corvaccio". Anzi, vendono anche souvenir a forma di corvo! Uffa, eh sì,
là sì che se ne intendono, non badano all'aspetto ma al nobile
contenuto> e da lì saltando, anzi volando di palo in frasca …<Vedi
Manolete, volare è pura eleganza, è arte, è impadronirsi del vento e
dell'aria. Volare è grazia. Qualunque uccello quando decolla o atterra
può sembrare ridicolo, anche i bellissimi cigni o le maestose aquile, ma
quando siamo in volo, siamo tutti ugualmente meravigliosi, colibrì,
aironi o corvi. Un battito di ali, flap flap flap, una leggera brezza ci
indica la corrente ascensionale più vicina e ooops ci infiliamo dentro e
ci lasciamo tirare su. Un battito di ali ancora e copriamo infinite
distanze utilizzando il vento, il caldo e il freddo>
<Già la fai facile tu ma io mica ho le ali. Di’ Zorro, mi ci
vedi a volteggiare leggero nell'aere e poi sprofondare con i miei
quintali nella sabbia dell'Arena. Farei una buca così profonda che il
toreador diventerebbe il più ricco petroliere della Spagna. Ah ah ah
ah!>
<Un Toro che vola. Tze, io avevo sentito di asini che volavano,
ma Tori no, no no, mai visti! Ah ah ah ah! Anzi l’asino volante che
conosco meglio si chiama… si chiama… ha sì! Si chiama Cuervo! Ah ah ah
ah!>
<Ah, ah, ah. Spiritosi. Certo che Manolete non deve volare ma è
guardando volare me che può imparare la grazia che gli donerà
l'eleganza per danzare con il suo Torero. O forse ho capito male? Questa
Corrida è o non è un ballo o qualcosa del genere? Beh! Questo è quello
che mi avete fatto capire voi! Mi sa che non sono l’unico asino in giro.
Qui c’è n’è un paio a quanto vedo, e non volano nemmeno!>
puntualizzò a quel punto Cuervo.
<Qui di asino ci sei solo tu Cuervo! Certo che è una danza non sei tu che l’hai detto a me?>
<Ma non me l’avevi detto tu, e poi per quello che ho visto a me pare proprio una danza, strana ma danza>
<Anche a me e sembrato così e tu cosa ci dici Manolete?>
<Beh credo di sì, almeno così mi ha sempre raccontato mio padre Felipe> rispose un titubante Manolete.
<Allora se vuoi essere il migliore impara la grazia, così…> e
prese a volteggiare trascinato dalla pazza stima di sé <…muoviti
secondo il vento, lascia che l'aria ti spinga. Hai visto come hai fatto
nell'Arena? Sei tu che comandi, tutti vengono dietro a te, vengono a
cercarti per sminuirti davanti alla loro bravura e tu invece li
surclassi tutti, in grazia e in astuzia, anche grazie a noi…>
sottolineò tralasciando la modestia <…muoviti con il vento, su
così...> continuava mimando l’azione <…il tuo fiato non dovrà mai
tornarti in faccia, lo dovrai vedere allontanarsi da te. Soffialo con il
vento e che grazie al vento possa arrivare fino al Torero. Che senta il
tuo odore, il tuo essere Toro e che abbia timore e rispetto di te!>
E Manolete, trasportato dalle parole di Cuervo prese a danzare
leggero fra le zolle dure e sassose della Meseta, sognando di essere
nella spianata dell'Arena. Cuervo parlava e mimava, Manolete volteggiava
leggiadro e Zorro correggeva i suoi passi rendendo questa sua danza
sempre più precisa e preziosa.
Con il trascorrere del tempo le sue movenze si fecero sempre più
morbide e aggraziate. Con il passare dei giorni, più provava e più
assomigliava a Cuervo, se avesse avuto le ali avrebbe davvero provato a
volare, sollevare i suoi chili fino nell'alto del cielo azzurro. Le sue
zampe si muovevano seguendo la musicalità del vento, con il soffio alle
spalle e l'aria che gli portava via il fiato da dentro i polmoni e
andava a spargere il suo afflato lontano, dinanzi a se, come gli aveva
insegnato Zorro.
<Capperi ragazzi, se Cuervo non avesse le ali e tu non avessi
le corna, credo proprio che non vi riconoscerei, siete
straordinariamente simili!>
<Stupida volpe. Amici alla Corrida, amici nella vita!>
<Dai Cuervo non prendertela. Amici alla Corrida, amici nella vita!>
<Amici alla Corrida, amici nella vita> ripeterono tutti insieme. Mentre Zorro voleva ancora l’ultima parola.
<Amici alla Corrida, amici nella vita! Si ma… insulsi, dare dello stupido ad una volpe, puah! Olè, olè oleeeè>
Trascorsero i giorni, i mesi e pure gli anni, Manolete studiava,
Zorro e Cuervo insegnavano e tutti insieme si divertivano come matti. E
nel frattempo maturavano anche gli affari del suo perfido padrone. Come
Rodrigo aveva previsto Manolete era diventato il Toro più ambito per
tutti i più grandi Toreri. Grazie alla sua imponente figura, all’enorme
peso e all’immensa fama che lo precedeva tutti i Toreri più famosi
bramavano di combattere contro di lui. Chi avrebbe sconfitto un Toro
come quello avrebbe avuto fama per l’eternità! Se fossero stati ancora
vivi e in attività anche i mitici Belmonte, Manolete, il Torero non il
Toro, Joselito, el Cordobés, Ordoñez e Dominguin avrebbero voluto ad
ogni costo Toreare contro quell’enorme bestione che Manolete era
divenuto. Ed Hemingway, uno scrittore del secolo scorso appassionato di
Tauromachia, ne avrebbe avuto di che scrivere, altro che un romanzo o
due, un enciclopedia intera avrebbe dovuto scrivere su Manolete!
Trascorsero i giorni, i mesi e pure gli anni e alla fine arrivò il
momento da tutti tanto atteso. Manolete aveva compiuto quattro anni,
aveva superato i settecento chili ed era stato venduto da Rodrigo per
una somma così alta che i giornali in poco tempo, l’avevano
esageratamente fatta lievitare verso numeri con una fila infinità di
zeri dietro. Se lo era accaparrato una non meglio identificata società
svizzera che faceva capo ad un intrico da libro giallo, di altre anonime
società sparse per il mondo, delle quali chiaramente non era possibile
riuscire ad individuare nemmeno un socio. In pratica Manolete non
apparteneva a nessuno o meglio ancora, Manolete era di tutti! Appena fu
data la notizia del passaggio di proprietà del Toro più famoso del
mondo, unica nota positiva di cui anche Carmen e Felipe poterono
rallegrarsi, cominciò la lotta serrata fra i Toreri per aggiudicarsi a
loro volta la possibilità di battersi e soprattutto sconfiggere
Manolete. Tutti i più famosi Toreri del mondo si fecero avanti, anche
Cristina Sànchez, la “Torera Cilena” si ripropose a quasi dieci anni dal
suo forzato ritiro ma furono i più prestigiosi e affermati Toreri della
capitale che si contesero la gloria di Toreare con Manolete. I padroni
de “Las Ventas”, nomi come Serafin Marin, El Chano, Fernando Cepeda,
Rafael de Julia, Sebastian Castella, Luis Vilches. Ma solo uno riuscì ad
aggiudicarsi la più grande sfida di Tauromachia di tutti i tempi. Lui,
l’unico, il solo, il grande, il cinico César Gabriel Fernando detto “El
Tibulon”, lo squalo! E Manolete lo avrebbe incontrato durante la più
importante e famosa celebrazione della supremazia dell’uomo sul Toro, la
festa simbolo della Corrida, la Feria di San Isidro.
La Feria di San Isidro si sarebbe tenuta a Madrid dal 11 maggio al
5 giugno, nella più famosa Plaza de Toros di tutto il mondo, Las Ventas
cuore battente di Madrid. Decine e decine di Corride sarebbero state
combattute e perse da centinaia di Tori. Ogni giorno gli olè si
sarebbero ripetuti in ondeggianti cori dentro e fuori dalla Plaza de
Toros e sarebbero continuati ininterrotti per quasi un mese, durante la
più importante manifestazione Taurina dell’anno. I Toros de Miura
avrebbero toreato martedì 31 maggio 2005 alle siete de las tardes. I
Toreri di quel giorno sarebbero stati “El Fundi”, Josè I. Ramos, Juan
José Padilla e naturalmente lui, César Gabriel Fernando detto “El
Tibulon”. I Tori sarebbero stati sei: Paco, Serafin, Pepin, Josè,
Miguelito e naturalmente lui, il piatto forte della serata, il momento
più atteso di tutta la Feria di San Isidro, l’immenso Manolete.
E alla fine quel
momento tanto atteso da Manolete arrivò. Lo vennero a prendere la
mattina all'alba, ce n'era di strada fare per arrivare a Madrid e anche
il lussuoso e potente furgone di Rodrigo non avrebbe certo potuto
soddisfare la frenesia di Manolete. Madrid, la capitale della Spagna. La
capitale della Corrida. Là avrebbe conosciuto la gloria, avrebbe fatto
vedere a tutti che Toro fosse, un Toro Bravo, uno di quelli cresciuti
respirando la terra battuta dell'Arena, con quel panno rosso sempre
davanti agli occhi, sempre sotto le sue fiere e appuntite corna. Avrebbe
fatto vedere a tutti quanto valeva, non solo per la sua imponenza e per
il suo peso, ma soprattutto per la sua agilità, per l’iniziativa e per
la leggiadria di quegli eleganti movimenti che aveva messo a punto con i
suoi impeccabili istrutTori, Zorro e Cuervo. Gli applausi lo avrebbero
inondato e alla fine di quella prima Corrida avrebbe raccolto gli onori e
la gloria che sentiva di meritare. Per se, i suoi amici e i suoi amati
geniTori, per i quali non mancava mai di un caro pensiero, ad ogni alba e
ad ogni tramonto. Gloria e fama, almeno così ancora credeva!
La nebbia della campagna aleggiava intorno alla fattoria,
nonostante fosse maggio quella era una mattina particolarmente fresca e
umida. Quando gli uomini arrivarono alla stalla Cuervo aveva ancora le
penne tutte arruffate e Zorro la coda che sembrava un piumino per
spolverare. Manolete invece era tirato a lucido, sembrava il figlio del
fattore il giorno della sua prima comunione. Il pelo brillava nel
chiarore dell'aurora e ai due amici parve pure che profumasse e questo
tanto per cambiare scatenò la loro sarcastica ilarità.
<Ho indossato il mio vestito migliore e mi sono irrorato del
mio profumo preferito, "Toro Scatenato"> scimmiottò Zorro.
<Ohoooo, le signorine Mucche sono avvertite. Fate largo sono
io, il Toro Bravo scatenato> aggiunse Cuervo mimando con le sue ali
le corna aguzze di Manolete.
<Ha, ha, ha> li ghiacciò, irritato Manolete con dipinta sul
muso una smorfia a metà fra l’offeso e il superione. Era così fiero di
se in quel momento, quasi avesse già compiuto la sua prodezza, si
sentiva come se avesse già danzato la sua Corrida Madrilena e non poteva
certo lasciare che i suoi due amici lo sbeffeggiassero impunemente
<Ma voi vi siete visti? Sembrate una scopa usata e un cespuglio di
rovi! Avete dormito proprio male stanotte! Io invece mi sono riposato e
rilassato, mi hanno strigliato ben bene, mi hanno dato da mangiare in
abbondanza ed io adesso mi sento forte come… come… beh… come un
Toro!> e scoppiò a ridere e dietro di lui Zorro e Cuervo come al
solito non riuscirono a trattenersi.
<Oh… sì ah ah ah, lui si sente forte come un Toro, sì ah ah ah e
io… io credo proprio di esser furba come una volpe aaahahahaha. E tu
Cuervo tu che avresti da aggiungere a queste affermazioni così
sconvolgenti, il nostro amico Manolete si sente oh bella, si sente
aahahahhhahah, si sente forte come un Toro e tu, dico tu che novità ci
proponi?>
<Io aaahahahh> aggiunse Cuervo sgangherandosi dalle risate <io sono nero come un corvo aaahahahahhhahaa!>
E fra le solite, immancabili risate generali trascorsero quei
brevi attimi, ormai smorzata la tensione della partenza Manolete fu
accompagnato sul furgone che lo avrebbe portato al suo destino e la
volpe e il corvo si introdussero di soppiatto all’interno, decisi a far
compagnia al loro amico per tutto il viaggio e anche nei suoi futuri
giorni di gloria. Gloria e fama, almeno così ancora credevano!
<Addio campagna, addio Meseta, addio chicos, Madrid arriviamo!
Il terrore della Corrida sta per fare il suo ingresso trionfale nella
capitale, fate largo fate largo, arriva Manolete. Manolete Toro
Bravo!> gracchiò Cuervo il camion si mise in moto ed il viaggio ebbe
inizio.
Ci misero più di sei ore per percorrere i quasi quattrocento
chilometri di strada che li dividevano da Madrid. Scesero le tortuose
stradine della Sierra del Carrascal fino ad Almansa e da lì, lungo la
430 fino ad Albacete dove imboccarono la 301 che li avrebbe accompagnati
dritti fino alla loro destinazione. Ripercorsero a ritroso la strada
che alcuni anni prima li aveva allontanati dalla allegra e festosa
fattoria di Don Gonzalo. Rividero da lontano le cime di Belmonte alle
cui falde aveva combinato i più incredibili guai che si fossero mai
sentiti in tutta la zona e di cui ancora tutti parlavano, ma
dimenticarono tutto quando videro i cartelli che indicavano Madrid a
poco più di cento chilometri.
Quando finalmente
arrivarono alle porte di Madrid era proprio l'ora di punta e Paco,
l’autista del furgone, non trovò niente di meglio da fare che sbagliare
strada, anche se ci fu chi gli dette una mano, anzi un ala.
Ad Aranjuez avevano preso l’autostrada che li aveva portati
velocissimi alle porte di Madrid poi avevano imboccato la
circonvallazione e lì avevano trovato migliaia di automobili ad intasare
la strada. Chi tornava dal lavoro, chi era stato a prendere i figli
all'ultimo giorno di scuola, cha arrivava per al Feria. Autobus
stracolmi di turisti che arrivavano da tutta europa, autobus di linea
pieni di gente affacciata ai finestrini, scuolabus traboccanti di
bambini in festa. E tutti a suonare impazienti il clacson, a
strombazzare inutilmente e ad inveire contro la calca di automezzi che
si riversava in città. Ai tre campagnoli parve davvero che tutto quel
frastuono, tutto quel suonar di trombe fosse proprio per dare il
benvenuto a loro. Cuervo mise fuori il becco e cominciò a gracchiare
fiero dell'accoglienza e dei tributi che credeva venissero resi al suo
amico. Gracchiò talmente forte che riuscì ad attirare l'attenzione
dell'autista del camion su cui viaggiavano. L’ometto lo intravide per un
attimo nello specchietto retrovisore, anche se non riuscì a capire di
cosa si trattasse e con tutto ciò che accadde dopo, mai capì con
esattezza cosa potesse aver mai visto. Invece che tirare dritto fino
all’uscita che si trova a due passi dall’Arena, il malcapitato andò ad
infilarsi in pieno centro, precipitando a capofitto nel bel mezzo di un
gigantesco ingorgo cittadino.
Pur non volendo Cuervo aveva distratto Paco quel tanto che era
stato sufficiente a fargli sbagliare strada e dall'avenida de la Paz,
l’autostrada che aggira Madrid da est, la spaesata combriccola si
ritrovò sulla Calle de Mendez il cui senso unico li costrinse a
procedere dritti dritti fino alla stazione di Atocha, praticamente in
pieno centro di Madrid. Rodrigo invece era già arrivato ed era in
trepida attesa nel Toril di Las Ventas con il cellulare in mano nel,
fino all’ora vano, tentativo di rintracciare Paco. Paco aveva ben altro
da fare che rispondere all’insistente scampanellio del proprio telefono,
impegnato com’era a cercare di capire dove fosse mai finito. Quando
infine rispose si ritrovò ad ascoltare la roca e adirata voce del
padrone, fortemente alterato dagli eventi, che contemporaneamente gli
dava le indicazioni per raggiungere l’Arena e quelle per trovarsi un
nuovo lavoro, anche se non così garbatamente come sarebbe stato
opportuno. La settimana successiva Paco fu assunto come autista adibito
al trasporto del latte, fu il massimo di vicinanza ai bovini che si
concesse dopo quella logorante avventura. La seconda vittima di
Manolete.
In quel momento però, fra squilli telefonici clacson d’automobile
il frastornato Paco e l'allegra brigata che se la spassava nel cassone
si ritrovarono, per la disperazione del primo e l’immensa gioia dei
secondi, ad attraversare il viale principale della città per arrivare
fino alla Las Ventas. Si lasciarono sulla destra la vecchia sede della
stazione di Atocha che adesso è una gigantesca serra riscaldata piena di
piante tropicali e proseguirono lungo il Paseo del Prado, il
famosissimo museo di Madrid dove sono conservati i più bei quadri
dell’arte spagnola. Attraversarono plaza de Cibeles con la fontana
adorna di Leoni e divinità greche e proseguirono andando di nuovo dalla
parte sbagliata. Rodrigo continuava a telefonare e Paco continuava a
distrarsi. Intanto nel cassone Manolete, Zorro e Cuervo erano invece in
piena estasi.
<Guarda che bei palazzi, mica le casupole di campagna che
abbiamo visto fin’ora! Questa sì che è vita> esclamò Cuervo
<Questa è la città che fa per noi, gloria, fama, becchime e Flamenco!
Ooooolè! Ah già dimenticavo e Corrida naturalmente. Cra cra cra
cra!>
<Certo Corrida! Ooooolè> muggì strafelice Manolete
<Guardate che meraviglia! Hei Zorro, guarda quel bel palazzo là,
chissà cosa ci sarà, forse è una stalla per i migliori Tori di Spagna,
forse ci sono i Tori in pensione, quelli che hanno attaccato le Corna e
gli zoccoli al chiodo. Muuu muuu muuu muuu!>
<C’è scritto Museo del Prado. Mah! Forse dietro c’è un immenso
prado verde dove pascolano i migliori Tori di Spagna! Gnac gnac
gnac!> latrò Zorro facendosi beffe degli altri due entusiasti amici.
Intanto mentre paco sudava sette camicie per ritrovare la strada i
tre burloni continuavano il loro giro turistico di Madrid. Infilarono
Calle de Alcalà nel senso contrario a quello che avrebbero dovuto
percorrere, passarono proprio sotto il bellissimo palazzo del
Metropolis, davanti alla Puerta del Sol, vicini a Plaza Major e infine
si ritrovarono proprio di fronte al Palazzo Reale, dove a quell’ora
stavano sicuramente consumando un pasto di tutto rispetto. A Paco invece
sarebbe bastato un panino, ma non era certo il caso di fermarsi per
mangiare, se poi lo avesse saputo Rodrigo, Paco avrebbe rischiato di
essere gettato nell’Arena in piena Corrida. Intanto i tre dietro
sgranocchiavano pannocchie, piluccavano arance e masticavano fieno,
satolli e soddisfatti, beati da ciò che vedevano. Paco riuscì infine a
riprendere in mano la situazione, anche grazie al diradarsi del
traffico. Ormai erano quasi tutti a tavola, solo lui ancora girava per
Madrid come una trottola. Il Furgone attraversò la Gran Via costeggiata
da uffici, banche, cinema, e grandi magazzini e si trovò di nuovo in
plaza de Cibeles, dalla quale finalmente imboccò Calle de Alcalà nella
direzione giusta, conducendo lo sfinito autista e i festanti passeggeri
fino alle stalle della grande Arena.
A Manolete non era
andata per niente meglio. Contrariamente a quanto Zorro e Cuervo
credevano nessuno quella notte aveva accudito il povero Toro. Era stato
frettolosamente rinchiuso nel Toril, gli avevano portato un po’ d’acqua
ma nemmeno un filo di fieno, poi da quel momento nessuno era più
tornato, neanche per dargli la buonanotte. Aveva passato da solo un
annoiato pomeriggio e la notte più lunga di tutta la sua vita. Solo, nel
silenzio di quella stalla buia e puzzolente. Giunto a metà della
nottata, vinto dalla gran fame, si era obbligato a ruminare un po’ del
fieno che copriva il pavimento, ma il sapore era talmente sgradevole che
neanche i crampi allo stomaco riuscirono a farlo andare avanti in
quell’amara cena. Data la fine che doveva fare, nessuno chiaramente si
preoccupava di dargli da mangiare. Passò la notte insonne, un po’ per la
fame, un po’ per la paura ma soprattutto a chiedersi che cosa stava
accadendo. Tutte le cure, le pacche sulla schiena, i sorrisi, le
adulazioni, il miraggio della fama della gloria e poi, giunto il momento
di cominciare a essere ripagato dei sacrifici fatti in tutti quegli
anni, l’abbandono della famiglia, i grandi allenamenti e lo studio, poi
improvvisamente quella stanza buia in cui era stato gettato senza alcun
riguardo, senza ritegno, senza fama e senza gloria.
Fu lasciato da solo anche per tutta la mattina. Si rese conto del
tempo che passava solo grazie ad una piccola fessura nella finestra
sbarrata, dalla quale filtrava un flebile filo di luce che gli fece da
meridiana. Il caldo raggio di sole si muoveva lentamente nel Toril
segnando inesorabilmente il trascorrere di quelle terrificanti ore
solitarie, fino ad udire lo scampanio festoso del mezzogiorno. C’era
però poco da festeggiare in quell’antro soffocante. La luce brillò
ancora per un po’ e poi se ne andò a sbiadire piano piano contro il muro
scalcinato del Toril lasciando Manolete nuovamente da solo. Qualcosa
non andava come avrebbe dovuto, c’era una nota storta che saltava via
dal pentagramma dei suoi piani. Poi il portone del Toril si aprì e da
quel momento fu tutta una gran musica stonata.
Entrarono in sei e si avvicinarono a Manolete in un modo
tutt’altro che gentile. Due gli attorcigliarono una grossa corda intorno
alle corna, la passarono in una carrucola e la tirarono fino a quando
Manolete non fu obbligato ad alzare il muso, assumendo una posa
innaturale che lo costringeva a tenere la bocca spalancata. Mentre gli
altri quattro legavano nuove corde intorno alle sue zampe, i primi due
gli spruzzarono in gola un liquido denso, più amaro del fieno che aveva
assaggiato la notte prima. Manolete cercò istintivamente di divincolarsi
dalla stretta in cui era stato intrappolato dai sei malintenzionati ma
come unico risultato, ottenne solo di perdere l’equilibrio rischiando di
cadere pesantemente al suolo mentre aveva ancora le corna avvolte dalla
corda a tenerlo legato al soffitto. Grazie alla sua energia e alla
prontezza dovuta agli allenamenti, pur con tutte e quattro le zampe
legate riuscì a rimanere miracolosamente in piedi, ma la paura che si
era affacciata quella notte fece di nuovo capolino nella sua mente e da
quel momento sarebbe stata la sua compagna per tutta la giornata. I sei
uomini si allontanarono da lui parlottando e sghignazzando tra di loro
alle sue spalle, Manolete tossì roco e muggì per la paura e per quel
sapore orrendo che gli avevano lasciato in bocca, l’amaro della purga e
l’amaro della delusione. La porta del Toril si richiuse di nuovo alle
sue spalle e Manolete provò ancora una volta a guardare lontano.Davanti a
se però non riusciva più a vedere né fama né gloria, né gioia né amore
ma solo paura e disillusione. In quel momento avrebbe avuto bisogno dei
suoi amici, della tontaggine di Cuervo e della puzza sotto al naso di
Zorro. Avrebbe voluto riformare immediatamente il trio e fuggire
lontano, lontano da lì, lontano da tutto quello che gli stava
precipitando addosso.
Zorro e Cuervo, ignari di ciò che stava accadendo, erano invece
tutti eccitati. Intorno e dentro la Plaza de Toros cominciavano i primi
movimenti. Si lucidavano le carrozze per il Paseo, si spianava la terra
dell’Arena, si rifinivano e si addobbavano le gradinate riservate alle
auTorità e agli ospiti d’onore. Il caldo del pomeriggio si faceva
sentire ancora opprimente ma quando sarebbe arrivato il momento giusto
per l’inizio, il sole sarebbe già stato basso all’orizzonte, lasciando
solo poche gradinate sfortunate accecate dai propri raggi.
<Già me lo vedo l’ingresso trionfale di Manolete. Gli
altoparlanti a tutto volume grideranno: señores y señoras, madam e
messiè, signiori e signiore, dame un terre…>
<Cuervo, noto, con estremo piacere, che non sei un granché con le lingue straniere!>
<Lasciami perdere, sono troppo preso adesso. Non ti preoccupare
andremo dopo a lezione. A te, ti mando a lezione d’inglese, poi ti
spedisco nelle campagne della Cornovaglia, così potrai divertirti sui
prati inglesi a giocare alla caccia alla volpe, cara furbina… Dov’ero
rimasto oh uffa… insomma tutta quella roba di prima e poi… ecco a voi
con il peso di seicentocinquanta chilogrammi, l’insuperabile,
l’ineguagliabile, l’incredibile Toro di Las Pedroñeras. Il diretto di
Benidorm, il rullo compressore di Albacete, lo schiacciasassi di Madrid,
il solo, il vero, l’unico Manoleteeeeee!!!! Craah craah craah, tutta la
folla inebriata, estasiata, migliaia di fans che ad una sola voce
gridano compatti: Ma-no-le-te, Ma-no-le-te, Ma-no-le-te. All’altro
angolo il povero toreador che dovrà competere con l’arte e la
maestria…>
<Questo non è un incontro di box!! E l’Arena è rotonda. Ma dove
lo hai visto l’angolo? Bah, ma perché continuo a perdere tempo con lui.
Manolete dove sei? Aiuto Manolete, corri a salvarmi da questo
scempio!>
<Guastafeste! Sei il solito guastafeste. Un po’ di fantasia,
lascia entrare un po’ d’aria in quella testolina furba, almeno ci sarà
qualcosa dentro. Cra cra cra!>
<Che attore, che attore! Piume rubate al palcoscenico! Senti un
po’ quando avrai finito di far volteggiare il tuo cranio vuoto sulle
ali della fantasia, torna pure sulla terra che qui fra un po’ ci sarà da
divertirsi. Stanno arrivando gli Aficionados!>
<Ah sì? Dove? Uh guarda ecco che cominciano ad entrare! Eccoli, eccoli! Señores y señoras, la Corrida ha inizio!>
Finalmente si aprì il
portone del Toril e in Manolete balenò un attimo di speranza. La purga
che gli avevano fatto bere a forza lo aveva stordito e indebolito,
sentiva le gambe pesanti e la testa gli scoppiava, sperava proprio che
qualcuno fosse venuto a rimediare al guaio che avevano combinato quei
sei sciagurati di prima. Ma la speranza si dileguò immediatamente,
facendolo sprofondare nella disperazione. Erano ancora loro. Gli
legarono un’altra corda intorno al collo, allentarono un po’ quella che
gli cingeva le gambe e lo portarono fuori dal Toril ma dopo pochi metri
lo infilarono nel Chiquero, un posto ancora più angusto di quello da cui
lo avevano fatto uscire. Era un piccolo box in cui Manolete entrava
preciso con la sua enorme mole. A fatica gli strinsero di nuovo le corde
intorno alle zampe e tirarono la corda che gli tese ancora il muso
verso l’alto. Gli spruzzarono un liquido appicicoso sul viso e una roba
puzzolente e urticante alle zampe. Per finire, nella gola indifesa e
spalancata gli infilarono della stoppa che gli tolse il fiato. Dopo un
attimo di terrore Manolete riprese a respirare, anche se a fatica, ormai
stremato dagli abusi che stava subendo. La purga e le torture che gli
avevano inflitto stavano facendo il loro effetto ma la rabbia che
avevano scatenato si sarebbe trasformata solo in immane difensiva
potenza. Non voleva fare del male a nessuno, non lo aveva mai fatto, ma
se solo lo avessero lasciato libero non avrebbe permesso a nessuno di
avvicinarglisi ancora per fargli del male. La sua ultima speranza era
rimasta l’Arena. Là dove avrebbe dovuto danzare, ma che danza sarebbe
mai stata in quelle condizioni? Cosa volevano fare di lui? Ma cos’era
realmente la Corrida?
Las Ventas era stracolma i bagarini avevano fatto soldi a palate
quella sera, rivendendo i biglietti al quintuplo del loro valore.
Nessuno voleva perdersi lo spettacolo quel giorno. Tutti volevano vedere
Manolete. Fuori dall’Arena, alla Puerta del Sol e al parque del Retiro
erano stati allestiti dei maxischermi che avrebbero mostrato a migliaia e
migliaia di Aficionados, fans, ma anche protestaTori animalisti e
curiosi, l’evento che alle “Siete de las tardes” avrebbe tenuto tutta la
Spagna incollata alla televisione. La Corrida del secolo, anzi del
millennio!
Le prime cinque Corride avevano avuto l’esito scontato che tutti,
purtroppo per il Toro, si attendevano. I poveri resti dei malcapitati
bovini erano stati portati fuori dalla porta de Arrastre tra le grida e
gli olè degli Aficionados e dei turisti entusiasti e le urla di protesta
degli animalisti e dei turisti indignati, dentro e fuori dall’Arena.
Alle otto e venticinque di sera di quel 31 maggio 2005, dagli
altoparlanti de Las Ventas una voce squillante annunciò finalmente
l’inizio della Corrida più importante della serata.
<Buenas tardes Señores y Señoras, di nuovo benvenuti alla Feria
di San Isidro. Grazie ancora della vostra graditissima presenza sia
nell’Arena che ovunque voi siate a seguire questo evento eccezionale.
Anche quest’anno abbiamo avuto i migliori Tori e i migliori Toreri che
la nostra antica e nobile arte abbia saputo esprimere. Vi abbiamo
intrattenuto e soddisfatto con ogni tipo di esibizione, abbiamo vissuto
onore e gloria, festa e divertimento, ma quello a cui stiamo per
assistere adesso passa ogni limite mai stabilito all’interno di un
Arena. Un Toro, una massa di muscoli e potenza mai vista, una bestia
nera come nemmeno il nero più nero è capace di essere, la forza più
bruta e rabbiosa che la natura abbia mai potuto esprimere. Un colosso di
oltre settecento chili assetato di rosso sangue sta per entrare nella
più famosa Arena del mondo per combattere ad armi pari con l’unico, il
solo, il grande César Gabriel Fernando detto “El Tibulon”> e qui
scoppiò il finimondo. Urla, grida, ooooolè, applausi a non finire
accolsero quella ben architettata presentazione che in realtà mai
avrebbe potuto essere meno esatta e più ipocrita. Dalla rabbia di
Manolete che non c’era affatto, il povero Toro aveva solo paura, al
combattimento che tutto sarebbe potuto essere tranne che ad armi pari.
Manolete era stato dipinto come un essere mostruoso da abbattere e la
gloria sarebbe stata solo ed unicamente per “El Tibulon” e inoltre…
<Manolete non è stato presentato!> puntualizzò risentito Zorro.
<Sei sicuro, non è che magari questi quattro scalmanati con
tutti i loro oooolllllleeeeeè, non ci hanno fatto sentire tutto fino in
fondo?>
<No sono sicuro. Il discorso era terminato, con il nome di quel
… quel… firulon, paleron, remolon o come cavolo si chiama>
<Si chiama El Tibulon. Vuol dire “lo squalo”. Io ne ho visto
uno sai? Ero nel canale della manica di ritorno da Londra… ero stato a
trovare i miei cugini alla torre… loro si che sono rispettati e…>
<Oh per tutte le cornacchie. Manolete aiutami, per favore
finiamola e portaci via di qui che io questo mica lo sopporto più…>
<Scusi, scusi signor Zorro, mi son lasciato prendere l’ala… non
le capita mai a lei? Eh no! Direi che quanto ad ali lei mi è un po’
carente e…>
<Manolete non è stato presentato!>
<Ma se ce ne siamo stati nascosti fino ad ora sotto quella
botola. Se ci scoprono, se ci scoprono, il salotto buono, tu impagliato
in un angolo ed io nell’altro. Se fossimo stati qui avremmo sentito la
presentazione di Manolete e avremmo già anche visto questa benedetta
Corrida, che ancora non ho capito cosa cappero sia in realtà! Comunque
sono d’accordo con te…>
<Manolete non è stato presentato, non è lui la stella della
serata, non è lui il protagonista dello spettacolo. È quel maledetto
tibulone del piffero! Cuervo ma questa Corrida che cos’è in realtà,
perché noi mica ne abbiamo mai vista una vera. Siamo stati quattro anni
con Manolete a correre e studiare ma non sappiamo cosa accadrà veramente
tra poco. Io mi sono affacciato prima ma con questo sole accecante
negli occhi non si vedeva niente. Per fortuna adesso è calato e si vede
bene anche da quassù. Ma non potevi trovare un posto migliore?>
<Si in prima fila, sciocca volpe! Comunque sono d’accordo con
te, Manolete non è stato presentato. E questo non mi piace per
niente>
<Ehi hanno aperto un portone, forse sta per entrare il nostro
amico. Salta su che tanto adesso guarderanno tutti lui e di noi non si
curerà nessuno!>
<Come sempre! Ah… triste destino… meno male che ci sei tu caro amico Toro…>
<Piantala con il melodramma e goditi lo spettacolo, arriva gente!>
Si aprì la Puerta de
Cuadrillas e finalmente tra le ovazioni e le acclamazioni
dell’impaziente pubblico di Aficionados, fece il suo ingresso il Paseo
che accompagnava “El Tibulon”. Prima i Picadores armati di Pica e pronti
a colpire il Toro quando gli fosse venuto vicino. Montavano vecchi
ronzini, bendati in modo da non vedere niente e di conseguenza non aver
paura. Animali completamente imbracati in una bardatura massiccia che
impediva loro di muoversi agilmente, ma che almeno li proteggeva quasi
sempre dagli inconsapevoli scontri con i Tori. Seguivano i Banderilleros
anche questi con le loro pungenti armi in mano, le Banderillas. La loro
prova di coraggio sarebbe stata quella di avvicinarsi ad un Toro, già
provato dalle lance dei Picadores e conficcargli nella schiena gli
acuminati e multicolori pugnali di cui erano muniti. Seguivano i
Novilleros e i Toreri di minor esperienza che sarebbero intervenuti
contro un animale già molto stanco per stordirlo con le loro
volteggianti Capas. Il movimento ondulaTorio e il colore sgargiante di
queste drappi avrebbe attirato il Toro che si sarebbe avventato, un po’
per rabbia un po’ per paura, verso ciò che avrebbe considerato il
colpevole della propria sofferenza. Qui si sarebbero espresse tutte
quelle famose figure e mosse che davano alla Corrida un parvenza d’arte.
I Novilleros avrebbero atteso la carica del Toro e poi lo avrebbero
agilmente evitato compiendo giri e giravolte, sventolando qua e là con
maestria la Capa. Tutto questo per fiaccare al massimo il Toro in modo
da permettere a lui di entrare in scena a prendersi l’immeritato
abbraccio della folla. A lui tutta la gloria, a lui tutto l’onore, a lui
la fama e il potere. Chi sarebbe questo lui? Lui è il Torero, il
Matador, nel nostro caso “El Tibulon”. Davanti ad un Toro ormai in fin
di vita avrebbe piroettato sulle punte sventolando la Muleta, si sarebbe
messo davanti al Toro, fermo, fiero e impassibile, gli avrebbe perfino
dato le spalle per far vedere il suo coraggio, a dire il vero misero
coraggio. Alla fine con l’incitamento della folla estasiata, avrebbe
affondato l’Estoque. Fine del Toro, fine della Corrida, olè olè olè e
tutti felici a casa. Tutti naturalmente tranne il Toro.
Ma ricordiamoci che questa volta non ci sarebbe stato un Toro qualunque, ci sarebbe stato Manolete.
E Manolete fu.
Tornarono ancora in sei. Lo tirarono fuori a forza dal Chiquero,
tremava. Lo legarono ancora di più, se mai fosse stato possibile. Lo
agganciarono ad una carrucola che lo strascicò fino ad un vano più ampio
e luminoso. Lo sciolsero finalmente e aprirono il portone. Rimase
immobile, accecato dal bagliore e dal sapore di sangue che veniva da
fuori. Per costringerlo ad entrare lo frustarono da dietro e a quel
punto, follemente impaurito, si gettò di slancio verso il centro
dell’arena.
Quello che la Plaza de Toros e tutta la Spagna vide, fu un’altra cosa.
Manolete entrò di gran carriera dalla Puerta de Chiqueros. Un
boato di meraviglia e di ammirazione lo accolse. Quell’ovazione da sola
lo ripagava dei scrifici compiuti, degli anni di allenamento con Zorro e
Cuervo, non comunque delle torture degli ultimi due giorni, ma il
povero Toro riuscì a trovarci lo stesso un briciolo di conforto e tutto
il coraggio che gli sarebbe servito di li a poco. La folla grido
oooooollleeeeeè, all’unisono e la corrida ebbe inizio.
La Corrida ebbe inizio ed il copione si ripetè monotono.
Manolete si ritrovò solo nel bel mezzo dell’Arena, fin dove quella
corsa col cuore in gola per lo spavento lo aveva portato. Era ancora
stordito dal trattamento a cui era stato sottoposto, aveva paura, tanta
paura, tantissima. Il suo sguardo vagò intorno alla ricerca delle facce
conosciute di Zorro e Cuervo, ma la vista annebbiata non poteva arrivare
fino ai suoi amici, nonostante i salti e gli strepitii che che i due
erano impegnati a fare in cima alla loro torre. Vide allora un cavallo e
in quel momento credette fosse l’unico di cui fidarsi lì intorno. Si
avvicinò trotterellando e pieno di speranza ma proprio quando stava per
chiedere aiuto, sentì una fitta dolorosa alla schiena, come se gli
stessero bruciando le carni. Sconcertato e inconsapevole di quanto stava
accadendo alzò un poco il muso e fu allora che vide il Picador. Fermo
con un ghigno ridente al posto della bocca, gli stava conficcando la
Pica acuminata nei lombi. Lanciò un muggito che rimbombò sordo per tutta
l’Arena, togliendo il fiato agli spettaTori e insinuando un po’ di
paura anche fra i Toreri nascosti al riparo della Barrera. Si allontanò a
fatica dal cavallo e prese un po’ di fiato ma il Picador gli si fece di
nuovo sopra e lo colpì per la seconda volta. Non ce ne fu una terza né
da quello né da nessun’altro. Si mosse all’indietro sfilando la lama
dalle carni, piegò un poco il muso sulla destra e, assicurandosi di non
fare alcun male al cavallo con le sue acuminate corna dette un affondo
improvviso e vigoroso. Fece vacillare cavallo e cavaliere e poi cominciò
a spingere con tutti i suoi settecentocinquanta chili facendo
stramazzare il povero equino a terra sulla schiena. Per sua fortuna
l’atterraggio fu morbido, sotto il cavallo ad attutire quella caduta
strampalata c’era finito il Picador. Non avrebbe mai più potuto
sfoggiare quel suo ghigno malefico, nella fretta di rialzarsi il povero
ronzino impaurito scalpitando a destra e a manca assestò un diretto alla
mascella del Picador, che se ne volò beato nel mondo dei sogni. Al suo
risveglio credette senza il minimo dubbio a tutto ciò che gli fu
raccontato.
La Corrida era iniziata ma a qualcuno era stato dato il copione sbagliato!
Gli altri Picadores si fecero sotto di gran carriera ma l’uno dopo
l’altro finirono con il sedere sulla bruna terra dell’Arena e a gambe
levate se la filarono oltre la Barrera, con Manolete sbuffante alle
calcagna. Era la volta dei banderilleros, i quali visto come era
cominciata, dubitarono immediatamente del loro successo. Il Toro era
ancora troppo in forze, non aveva subito sufficienti ferite da fiaccarlo
e permettere loro di avvicinarsi con tranquillità. Alle loro spalle El
Tibulon cinico ed ostinato li incalzò tacciandoli di codardia e dopo un
timido accenno di rivolta li costrinse a scendere nell’Arena. Zigzagando
davanti a quell’enorme bestione nero il primo di loro, facendosi
coraggio, provò ad infilare le sue Banderillas sul dorso dell’animale.
Manolete lo attese fermo e proprio mentre le Banderillas stavano per
conficcarglisi addosso, ondeggiò quel tanto che fu sufficiente al
Banderilleros per perdere l’equilibrio e a lui per torcere velocemente
il muso alla sua sinistra, caricarsi l’uomo sulla fronte e fargli fare
un triplo salto mortale carpiato con avvitamento, mandandolo a pisolare
insieme al suo degno compare che non rideva più. Gli altri due non ci
provarono nemmeno, erano troppo impegnati a tentare di sfuggire alla
caccia data loro dal Toro. Uno dopo l’altro finirono oltre la Barrera
agevolati dalle persistenti incornate di Manolete. El Tibulon era una
furia incontrollabile. Sulle gradinate imperversava la Bronca, migliaia
di cuscini volavano per l’Arena, il disonore era dietro l’angolo. El
Tibulon decise a quel punto di far scendere in campo l’intera Cuadrilla e
recuperare un briciolo d’onore in quel mare di fischi.
Tornarono in campo i due Banderilleros superstiti, affiancati da
quattro Novilleros con le loro Capas sgargianti e mise finalmente piede
nell’Arena lui, El Tibulon. La sua fama lo precedeva e la certezza di
uno spettacolo cruento e divertente placò momentaneamente gli animi
degli spettaTori. Rassicurati dai gesti sicuri del Matador ripresero i
propri posti in attesa di veder soddisfatta la loro sete di violenza.
Fu un vero e proprio
assalto, sei Novilleros presero a girargli intorno agitando ritmicamente
le loro Capas. Manolete non sapeva più da che parte girarsi, quel
brillare di colori intorno a lui e il dondolare lieve delle mantelle
colorate lo aveva quasi ipnotizzato. Era stanco, molto stanco e
continuava a perdere sangue dal groppone dove la Pica lo aveva ferito.
Fu in quell’attimo di distrazione che scoppiò il finimondo. I
Banderilleros cominciarono a piovergli addosso da ogni dove colpendolo
una, due, tre, quattro volte, conficcandogli quelle assurde bandierine
sulla schiena. Il dolore era lancinante, Manolete cominciò ad agitarsi e
a correre cercando di scrollarsi di dosso quelle frecce acuminate che
gli facevano da macabro ornamento. Per fortuna le punte non erano state
conficcate fino in fondo, la paura che aveva indotto negli avversari li
aveva tenuti sufficientemente a distanza. I Banderillersos avevano punto
ed erano scappati senza badare a far bene il loro assurdo lavoro e con
poche sgropponate Manolete riuscì a disfarsi di quel pesante bagaglio.
Intanto l’Arena aveva preso a girargli intorno, la stanchezza la paura,
gli olè che arrivavano dalle gradinate, le Capas dondolanti, tutto
girava vorticosamente. Ebbe un lungo momento di assenza, rivide la sua
cara mamma Carmen che lo leccava e lo accudiva, Felipe che gli
raccontava la vita, Zorro, Cuervo… poi non vide più niente… poi rivide
solo Capas tutte intorno a se!
Gli occhi erano quasi ciechi, ricoperti dal sangue che gli
bangnava tutto il mastodontico corpo. Manolete guardava i Novilleros e
pensava a cosa gli stavano facendo. Perché? Lui non aveva fatto del male
a nessuno. Tutte le Corride a cui aveva partecipato erano state diverse
da quella. Sì c'erano stati i bastoni e qualche colpo un po' più
robusto degli altri ma Manolete aveva creduto che fosse dovuto
all'imperizia del Torero di turno o alla sbadataggine. Qui la cosa però
era completamente diversa, qui lo stavano infilzando da tutte le parti e
a quel punto l'unico modo che gli era rimasto per difendersi era quello
di attaccare. Aveva provato a scappare, a fuggire via da quel
terrificante incubo in cui si era risvegliato, ma non c'erano vie
d'uscita. Non c'erano luoghi in cui rifugiarsi e lui lo sapeva bene,
conosceva le Arene e aveva capito che dentro quel cerchio di legno si
Toreava senza possibilità di fuga. All’inizio aveva ancora voluto
credere che fosse come in uno stadio, come in teatro, si fa quel che c'è
da fare e poi le porte si aprono, quando tutto è terminato e i
protagonisti se ne escono fra gli applausi del pubblico. Ma ormai si
stava rendendo conto che al termine di quell'esibizione per lui non ci
sarebbe stato modo di uscire da quell'anello di paura.
L'Arena gli girava intorno, la sua mente vedeva appannato dietro
occhi velati di rosso e alla fine per spavento, per terrore, per rabbia,
per dolore Manolete partì. Raccolse le proprie forze, anche quelle che
non aveva più e quelle che non avrebbe mai creduto di avere, anche
quelle che nemmeno i suoi nuovi nemici potevano immaginarsi. Quei nemici
che lo avevano accarezzato e spronato fino a pochi minuti prima, gli
stessi che lo avevano strigliato e foraggiato e che poi all'improvviso
avevano cominciato a torturarlo senza alcun motivo. Punture, balsami con
odori acri e pungenti, colpi e poi l’ingannevole Redondel che lo aveva
accolto a braccia aperte come non mai, in un boato di onori e di
meraviglia. “Manolete, Toro Bravo del peso di settecentoquarantotto
chilogrammi, corna aguzze, manto nero come la pece, tanto che di notte
lo si sscorge solo se apre gli occhi.” Quella folla che lo aveva
accolto, acclamandolo, inneggiando a lui e che poi improvvisamente,
tanto quanto improvviso era arrivato il dolore, aveva cominciato a
gridare olè, oooleeè ooooleeeè ma non ad ogni suo passo di danza, non ad
ogni sua moina, ad ogni astuta mossa come quelle che aveva messo a
punto con Zorro o le leggere movenze fluide come il vento che aveva
imparato da Cuervo. No, la folla gridava i suoi olè ad ogni colpo che
gli veniva inferto, ad ogni Picas che gli apriva la carne, ad ogni
Banderillas che si agitava incastrata nella sua schiena. Il mondo
intorno a lui si spengeva lentamente gridando olè per ogni fiato che
andava perdendo. Ma Manolete non poteva rinunciare a quella Corrida, non
poteva abbandonare quella che ormai, comunque fossero andate le cose,
sarebbe stata la sua ultima apparizione in un Arena. Aveva lavorato
sodo, sperato, sudato, sognato, speso una vita intera per quel
meraviglioso giorno che era divenuto il più orrendo di tutta la sua
esistenza e non avrebbe rinunciato a portare a termine il suo impegno.
Con il padre Felipe, la mamma Carmen e i suoi amati e insuperabili amici
Zorro e Cuervo stretti nel cuore, Manolete ritrovò l’energia e la
determinatezza dei suoi allenamenti, strisciò tre volte la zampa destra
sulla polvere del Redondel e muggì, forte come solo lui poteva fare. E
tutti se ne accorsero!
<Questo mi avete tenuto nascosto fino ad ora, questa è la
vostra Corrida, una Corrida in cui il Toro uscirà sconfitto e dilaniato.
No! Questa non è la mia Corrida, anche se sarà la sconfitta dei miei
sogni e dei miei desideri, non è la mia Corrida. Ho già toreato la mia
ultima Corrida questo è solo un vostro strano e assurdo gioco di
morte!>
Strisciò lentamente con la zampa sinistra due volte, sollevando
uno sbuffo di sabbia, tre volte lo fece con la destra celandosi dietro
una nebbia arida e poi partì. Con i muscoli che avrebbero dovuto essere
contratti ma non lo erano, con i tendini che avrebbero dovuto essere
recisi ma che tenevano il loro estremo sforzo, con una forza che non
avrebbe dovuto avere ma che vibrava in tutto il suo enorme corpo
Manolete partì. Alzò la testa, come non avrebbe mai potuto fare a quel
punto della Corrida a causa delle atroci ferite che gli erano state
inferte e la folla si ammutolì. Un lunghissimo attimo di silenzio prima
di sfociare in un boato di ovazione lasciando il povero Torero incredulo
di ritrovarsi il suo pubblico contro per colpa di uno stupido animale
che credeva di poterla spuntare con lui. El Tibulon preparò la spada,
ben nascosta dietro il panno rosso con cui aveva preso in giro Manolete
fino a quel momento e si mise in posizione.
<Vien bel Torello, vieni che ho qui una bella sorpresa per te.
Vieni, avvicinati che ho per te un dolcetto. Sì, un dolcetto che ti
rimarrà indigesto!>
Quasi interpretando il gesto del Matador Manolete gli rispose con
un roco verso e agì, trasgredendo alle logiche, assurde regole di quel
gioco.
<Tu sarai l'ultimo> gli muggì contro <Prima scaccerò ad
uno ad uno i tuoi compagni, la tua banda di sanguinari e poi arriverò
fino a te. Aspettami, aspettami con il tuo sorriso stanco e con il tuo
panno rosso. Non è più tempo di Corrida adesso è tempo di vivere!>
Partì, lanciando un muggito che rimbombò oltre le mura dell’Arena,
lasciando uscire tutto il fiato che i suoi polmoni potevano ancora
contenere a litri e litri. Un boato che si trasformò in un rantolo cupo
prima e in un acuto liberatorio poi, quando insieme allla carica
interiore scagliò fuori anche quel grumo acre e opprimente di stoppa che
gli avevano cacciato in gola. Libero di finalmente respirare, di
lasciare entrare in corpo l’aria cociente di quegli attimi caricò.
Muggendo a più non posso, assordando Novilleros e Aficionados,
diffondendo intorno la sua potente energia che spaventò i Toreri ed
emozionò tutto il pubblico.
Partì, e ad uno ad uno
incornò Banderilleros e Novilleros, scaraventandoli chi per terra, chi
oltre la Barrera, mentre il pubblico impazzito era ormai,
momentaneamente solo momentaneamente, passato tutto dalla parte di
Manolete. Alla prossima Corrida avrebbero fatto tutti di nuovo il tifo
per il Torero. Ad ogni Banderilleros che volava per aria si udiva un
ovazione e uno scroscio di applausi, ad ogni Novilleros che finiva per
terra gli ooooooleeeè riempivano l’Arena, Madrid e la Spagna intera.
Zorro e Cuervo dall’alto della loro torre saltavano come presi da raptus
di follia, gracchiando e latrando come forsennati. Tanto con tutta
quella confusione nessuno li avrebbe mai potuti sentire e a quel punto
anche se si fossero accorti di loro sarebbero stati sola una stranezza
in più in quell’afosa serata madrilena. La paura e la rabbia che avevano
provocato angoscia e disperazione per la sorte del loro amato compagno,
si erano trasformate in entusiasmo ed euforia nel vedere Manolete
rivoltare in quel modo strabiliante le sorti della Corrida.
Il Redondel era semideserta. Chi sollecitamente agevolato da un
paio di corna, chi arrancando sulle propie gambe malconce, tutti avevano
guadagnato l’uscita e la sicurezza. Un paio di Novilleros, stramazzati
al suolo dopo il confronto con il Toro, furono portati fuori a braccia
da coraggiosi soccorritori. Erano usciti tutti, tutti tranne El Tibulon.
Fermo, per quanto la paura e le umiliazioni prese glielo permettevano.
Deciso a tutto, pur di salvare il suo onore, la carriera e il
portafoglio. Incapace di resistere alla sua malefica ira. Fu a quel
punto che la sua immensa disperata rabbia gli fece commettere l’errore
più mastodontico che un Matador avesse mai potuto fare. Partì. Sì, partì
alla carica. Con la Muleta sventolante avanti a sè e la spada
insistentemente celata dietro. Credendo ancora di poter sorprendere il
suo rivale. Manolete restò fermo impassibile in attesa. Il respiro
affannato dalla tortura, dalla fatica e dalle ferite. Attese e quando
gettandoglisi contro, il Torero sguainò la spada per colpirlo a morte,
non fece altro che schivarlo, compiendo quell’agile ed elegante gesto
del Cargar che da sempre i Toreri enfatizzano durante le loro
esibizioni. Un movimento lento ed elegante, studiato e perfezionato
insieme a Zorro e Cuervo per donarlo a quella che credevano fosse solo
arte. Una piroetta degna di una ballerina di danza classica che gelò
l’Arena intera e tutti i dintorni, per farla poi scoppiare in un
ovazione interminabile seguita da una memorabile Bronca nei confronti di
El Tibulon. In conseguenza a quel leggiadro gesto di Manolete il
disperato Matador altro non aveva potuto fare se non finire lungo
disteso in mezzo alla polvere. Con la faccia a terra, ansimante e colmo
di vergogna fu sepolto sotto una ammasso di cuscini, bottiglie, ventagli
e tutto quanto gli indignati Aficionados avevano a portata di mano da
gettargli addosso. Manolete compì un lento giro intorno a quella
montagna di materiale vario e variopinto, il Torero rimaneva ancora a
terra per la fatica per la paura ma soprattutto per l’immensa offesa
subita. Nessuno osava entrare nel Redondel. La folla era rimasta in
piedi ammutolendosi improvvisamente. Manolete si avvicinò a El Tibulon,
scansando bottiglie e cuscini con il muso e quando da sotto quella
coltre di immondizie, riapparve il più fetido di tutti i rifiuti, si
voltò e strisciando la zampa posteriore in terra lo ricoprì di polvere,
conferendogli la definitiva umiliazione.
El Tibulon era ormai ridotto ad un’inerme, ansante, impaurito, semplice ometto.
Intanto, nel turbinare degli eventi, qualcuno aveva
provvidenzialmente riaperto la Puerta de Arrastre. Manolete, fiero ma
stanco, si era incamminato lentamente verso l’uscita, fiero di ciò che
aveva compiuto ma allo stesso tempo disilluso per tutte le speranze e i
sogni infranti. Adesso il silenzio regnava in quel catino della follia
dove ovazioni e grida di disapprovazione si erano succeduti ad ogni
Veronica, ad ogni Banderillas ad ogni carica. La Cuadrilla, al sicuro
nel Callejon, non tentò nemmeno di intralciare la vittoriosa ma pur
sempre mesta, ritirata del Toro. In quel momento lo sguardo poco
mansueto di Manolete era più che sufficiente a far cambiare idea a
chiunque volesse osare avvicinarsi. Chiunque, tranne naturalmente chi da
quell’uscita ne sarebbe venuto fuori profondamente e insopportabilmente
sconfitto. El Tibulon, arrancando fra la polvere, i cuscini e la
spazzatura che gli era piovuta addosso, si rimise in piedi. Incurante
degli sguardi colmi di disprezzo della sua Cuadrilla, sbeffeggiato dalle
smorfie di quello che avrebbe dovuto essere il suo pubblico, raccolse
da terra la Muleta e ne cavò fuori la Spada per mezzo della quale era
più che intenzionato ad infliggere l’Estoque a Manolete, dopo con sommo
suo piacere lo avrebbe finito con il Descabello. Polveroso e sgualcito,
con la spada sguainata come un pazzo alla guerra si mise a urlare
correndo verso il Toro.
Fu a quel punto che accadde il fatto che, se il Toro non se ne
fosse andato vivo dal Redondel, sarebbe stato il più sbalorditivo
dell’intera Corrida. Ma a quel punto della serata nulla più poteva
stupire un pubblico ormai abituato a vedere cose che non si sarebbe mai
sognato di immaginare. Dall’alto della loro torre Zorro e Cuervo
entrarono finalmente in azione. Con un sistema ormai studiato e
perfezionato la volpe volante piombò planando nell’Arena. La ooooo degli
Aficionados non distrasse El Tibulon, intento nella sua carica
vendicatrice e questa sua testardaggine facilitò il lavoro della
“Vendetta che viene dall’alto”.
<Eccolo eccolo! Adesso! Sgancia sgancia!>
<Con vero piacere amico mio. Va e fa il tuo dovere!>
<Per Manoleteeeeeeeee……>
Cuervo lasciò la presa e Zorro finì dritto sulla faccia di El
Tibulon. I suoi unghielli presero a roteare vorticosamente sul volto del
Torero il quale lasciò immediatamente la presa facendo finire per terra
Muleta e spada. Aiutandosi con le mani tentava di liberarsi da quel
mostro che gli era precipitato addosso, senza riuscire a rendersi conto
di cosa potesse essere e di come avesse mai potuto arrivare fino a lì.
Con uno strattone riuscì a far cadere Zorro ma fu colto di sorpresa dal
provvidenziale arrivo di Cuervo che con le sue forti ali lo schiaffeggiò
sul volto martoriato prima di richiudere gli artigli nel folto pelo di
Zorro sollevandolo da terra per un nuovo attacco. Adesso toccava a El
Tibulon essere disorientato dagli eventi e accecato dal suo stesso
sangue mentre proteggendosi il viso con le mani cercava di capire da che
parte sarebbe arrivato il prossimo attacco. Cuervo volò alto sopra il
Redondel per poi picchiare ancora dritto verso il Torero. El Tibulon
sfinito e finito prese allora a correre zigzagando e zoppicando con le
mani sopra la testa in un ultimo vano atto di protezione.
<Pronto?>
<Adessoooo!>
<Sgancioooo……>
<Arrivooooo……>
Zorro finì tra i capelli arruffati del Torero come una inusuale
Montera rossiccia. El Tibulon prese a battersi impietosamente la testa.
Un attimo dopo Cuervo era di nuovo su di lui, artigliando Zorro prese a
tirare, portando su con se la volpe e metà della capigliatura del Torero
impigliatasi fra le zampe unghiate di Zorro. Battuto, piegato, deriso e
ferito riuscì a stento ad avvicinarsi alla Barrera, da sopra la quale
sbucarono provvidenziali mani che strattonandolo in malomodo riuscirono a
portarlo al sicuro nel Callejon tra gli assordanti fischi di tutta
l’Arena. Sul muso di Manolete si stampò un sorriso di pace e serenità. I
suoi amici erano lì e lo stavano aiutando. Cuervo volò verso di lui con
Zorro appeso e tutti e tre rientrarono finalmente al sicuro nel Toril.
La folla rimase in piedi, gli Aficionados increduli con gli occhi
sgranati e la bocca stupidamente spalancata. Il pubblico tutto, commosso
e ammirato, prese a battere ritmicamente le mani sfociando poi in un
frastornante scroscio di applausi e grida di ammirazione rivolte al
grande Manolete, unico, vero, solo vincitore della Corrida. Unico ma con
dei grandi amici a dargli una mano.
Nel frattempo Rodrigo stava mettendo in moto la sua auto, la sua
carriera di commerciante era finita. Nessuno avrebbe più voluto sentir
parlare di lui, Manolete era l’ultimo Toro bravo con cui avrebbe avuto a
che fare, i suoi sogni di gloria e di potere erano stati abbattuti a
cornate. Dopo El Tibulon, un’altra vittima di Manolete.
<Ehi Zorro… arriva Manolete>
<Ooohh… buon giorno, ce la siamo presa comoda, eh? Sua Signoria
è stanco? La scorribanda in collina di ieri sera se la sente tutta
negli zoccoli stamattina?>
<Altro che! E non solo negli zoccoli, in tutte e quattro le
zampe e pure nella schiena! Non sono mica un batuffolino di pelo io! Qui
quando ci muoviamo c’è da spostare più di settecento chili di Toro,
mica due etti di volpe come te!>
<Ben detto!>
<Zitta tu cornacchia! Di un po’, ti fanno male le ferite? Senti ancora tanto dolore?>
<Certo che sente dolore, deve muovere settecento chili di Toro mica un batuffolino…>
<Senti spennacchiotto vuoi chiudere quel beccaccio da corvo. Anche tu ti sei alzato bene vedo…>
<Senti chi abbaia, sei stato tu a cominciare e…>
<Però mi sono divertito un sacco ieri sera, anche se oggi cammino a mala pena, forse abbiamo esagerato?>
<Esagerato? Esagerato è dire poco, Chissà cosa avrà raccontato
il conte alla polizia, avrà dato la colpa a uno stormo di
cavallette?>
<Secondo me gli ha detto che sono stati gli alieni. I cerchi
nel grano che ideona ragazzi, mi sa che ne parleranno per un bel po’>
<Questi mi sa che ne hanno già sentito parlare, guardate sta arrivando gente>
<No, questi sono i soliti turisti spennacchiotto>
<Piantala di chiamarmi spennanonsocosa altrimenti ti artiglio e
ti porto in volo fino in Inghilterra… e tu sai che fine fanno le volpi
in Inghilterra. Che dite passiamo all’azione?>
<Chiaro che sì! Allora tu Manolete che oggi non sei per niente
in forma te ne resti fermo qua, fai un paio di muggiti, di quelli
rombanti come sai fare te…>
<Sì, sì mi piacciono un sacco, la gente rimane terrorizzata! Che sciocchi>
<Non mi interrompere spennacchiotto>
<Inghilterra, ricorda Inghilterra>
<Quando si sono avvicinati io arrivo furtivo e gli passo
davanti impettito e con la coda gonfia, a questo punto mentre navigano
nella meraviglia assoluta e ci staranno scattando cinque o seicento
fotografie entra in azione Cuervo>
<Fanno le foto anche a me?>
<No! Tu arrivi da dietro all’improvviso e cominci a gracchiare a
squarciabecco, gia me li vedo scappare da tutte le parti…>
<Ci sarà anche qualche bel capitombolo, dai mi schiarisco la voce e inizio a muggire…>
<Hei non finire la voce mi raccomando, stasera c’è la gita
scolastica, dobbiamo essere al meglio, quei bambini dobbiamo farli
proprio divertire, sono così carini quando ridono>
<Beh allora questo è un allenamento! Formazione… disposizione… pronti… viaaa…>
Era passato un anno da quella tremenda Corrida e il trio era
ancora felicemente riunito. Nella confusione generale che era scoppiata
all’interno delle stalle, subito dopo la fine della disastrosa Toreata
di El Tibulon, erano state avanzate le proposte più assurde sulla sorte
di Manolete. Chiaramente la maggior parte di quelli che ci avevano
voluto mettere bocca pretendevano che il Toro se ne andasse dritto
dritto al macello, ma fra chi lo reclamava in un circo, chi lo voleva
imbalsamare ed esporre al museo del Prado e chi desiderava che fosse
lasciato libero di andarsene a spasso per Madrid, nessuno ci capiva più
niente compreso il povero Xavier, incaricato all’ultimo momento da
Rodrigo di disfarsi dell’animale. “Liberamene” gli aveva detto “A
qualunque condizione!” Queste erano state le sue ultime parole prima di
uscire dalla Plaza de Toros. Xavier non sapeva da che parte cominciare
ma per fortuna, prima che fosse costretto a prendere una qualsiasi
decisione, che a giudizio di Rodrigo si sarebbe rivelata sicuramente
quella sbagliata, la soluzione gli si avvicinò silenziosa, in mezzo al
gran sbraitare che regnava nel Toril e gli batté delicatamente una mano
sulla spalla.
<Buon giorno signor Xavier, il mio nome è Raddo della
Berardesca, vorrei acquistare il suo Toro, mi dica solo una cifra e le
risolvo tutti i problemi>
<Mi sta prendendo in giro?>
<Assolutamente no!>
<Cosa ne farà? Lo servirà in un ristorante o lo metterà in esposizione?>
<Niente di tutto questo Xavier. Lo porterò in un posto dove potrà vivere tranquillo>
<Si porta via anche quegli altri due vero? Mi sembrano un trio
molto unito. Fossi in lei non ci proverei nemmeno a separarli, mi
sembrano alquanto su di giri al momento>
<Tre al prezzo di uno? Mi sembra un ottimo affare! Ma… non ce l’ha lei un ufficio?>
L’affare era stato concluso. Manolete fu delicatamente
addormentato da Gomes, il veterinario dell’Arena, l’unico che sotto il
controllo degli sguardi vigili di Zorro e Cuervo, riuscì ad avvicinarsi
allo stremato Toro. Venne portato in una clinica dove gli furono
praticate le cure più urgenti e dopo alcuni giorni, ormai fuori
pericolo, partì per la sua nuova casa in compagnia degli inseparabili
amici.
Tutta la Spagna conobbe la sua storia. Tutti in tutta la Spagna,
fino a Las Pedroñeras, fino alla fattoria di Don Gonzalo de la Hacienda.
Anche Carmen e Felipe soffrirono, addolorati dalle sue disavventure per
poi infine gioire, rasserenati dalla grande riscossa del loro amato
vitellino.
Manolete, Zorro e Cuervo lasciarono la Spagna per raggiungere le
assolate colline della Toscana a due passi dal mare. Là avrebbero potuto
finalmente vivere tranquilli, scorrazzando su e giù per il lungo viale
di cipressi di Bolgheri.